mercoledì 20 marzo 2024

Simbiosi con altro e fuga da se stessi

 Rimetto in primo piano un mio scritto di qualche tempo fa, in cui affronto una questione che considero fondamentale.

Il legame con tutto ciò che, esterno a sè, si presenta come un insieme strutturato e organizzato (la cosiddetta realtà), fruibile come supporto e veicolo d'esperienza, capace di offrire soluzione pronta per ogni necessità, di indicare modelli, percorsi, tappe da seguire per dare risposta a ogni esigenza di soddisfazione e di espressione personale, di crescita e di autorealizzazione, è questione da tenere ben presente per capire la problematica del rapporto con se stessi, con tutto ciò che si propone nell'esperienza interiore. Ho più volte sottolineato nei miei scritti la pericolosità e l’insensatezza di opporre rifiuto preconcetto e di squalificare come insano e deleterio tutto ciò che da dentro se stessi, dal proprio profondo, si impone come disagio interiore. Il rifiuto è ripudio di una parte capace, creativa e intelligente di sè, la squalifica è bocciatura della propria interiorità, che nel sentire, pur doloroso e tormentato, in realtà dice, suggerisce, vuol far comprendere qualcosa di centrale e di decisivo di se stessi, vuole aprire e promuovere processi trasformativi e di crescita importanti, necessari e favorevoli. Ebbene, a spingere fortemente verso una simile intolleranza e fuga dal proprio sentire disagevole e sofferto, con un atteggiamento e con un modo di pensare che sentenzia, dandolo per scontato ed evidente, che si tratterebbe solo di disturbo, se non di malattia, che menoma e danneggia, è proprio il legame di dipendenza dall’esterno, da un insieme vissuto come fonte vitale, capace, in apparenza, di dare risposta pronta a tutto, di offrire essenza, contenuto e senso del vivere. Guai a perdere contatto e legame stretto con l‘esterno, a sentirsi in qualche misura tagliati fuori, ostacolati nel mantenere scambio e presenza nell’insieme dato, guai a limitare o compromettere il contatto con altri individui ritenuti decisivi e fondamentali, guai ad allentare il legame con la realtà esterna! Pare e è temuta come una drammatica perdita di sé. Se da dentro se stessi la propria interiorità col malessere esercita una presa, questa è vissuta prima di tutto come un preoccupante ostacolo, come l'impedimento all’abbraccio col fuori, dove pare ci sia tutto. La presa forte dell’intimo che coinvolge e che trattiene,  certamente non è l'espressione di un pericoloso cedimento, di un guasto o di  una malattia, ma di una decisa e incalzante sollecitazione del profondo all'avvicinamento e al dialogo con se stessi, perchè si esca dalla condizione di passiva adesione a modalità e a scelte di vita non comprese davvero, perchè prima di tutto le si guardi nell'intimo, per avviare scoperta e formazione di idea propria e autonoma attorno alla propria vita ( può rendersi indispensabile un aiuto per formare e per sviluppare questa capacità di rapporto con l'intima esperienza). Viceversa la presa interna di sensazioni difficili e impegnative appare subito come una disgrazia, come un pericoloso motivo di ritardo rispetto alla corsa comune, come il rischio di deriva e di caduta nell’abisso del niente. Simile visione del rapporto con la propria interiorità e dell’intimo legame con se stessi, se da un lato è conseguenza di abituale lontananza da sè e di non familiarità col dialogo interiore, di mancanza di fiducia nel rapporto con la propria interiorità e di ignoranza del significato dell'esperienza profonda, dall'altro è certamente alimentata, esasperata dall’angoscia di perdere la continuità del contatto e dello scambio con ciò che, esterno a sè, da troppo tempo è vissuto come il riferimento fondamentale, come l’habitat naturale, come l'alimento vitale unico e insostituibile. Il vincolo a se stessi, reso obbligato e stringente dal malessere interiore, è vissuto come rischio di uscita dal reale, come pericoloso fattore di isolamento e di privazione, quasi di sradicamento, senza speranza e senza promessa. E’ decisamente un paradosso. Andare verso se stessi è in realtà il primo, necessario movimento vitale, per congiungersi a sé, per trovare la propria "terra", per ritrovare fondamento e radici, per cominciare davvero a vedere con i propri occhi, a comprendere per intimo sentire, per orientarsi. Ben sostenuti da un profondo che dà e che dice, come mirabilmente il proprio inconscio sa fare con i sogni, oltre che col sentire (serve però un aiuto per comprendere e scoprire tutto questo), in questo incontro con la propria interiorità si potrebbe finalmente riconoscere se stessi, non per ciò che è riconoscibile dagli altri, non per ciò che può rendere adeguati o validi ai loro occhi, ma per ciò che si è davvero, per ciò che si prova, per ciò da cui si è mossi e che vive dentro sè. Andare verso se stessi significherebbe cominciare a ritrovarsi, uscendo dalla condizione di sconosciuti a se stessi, spesso impegnati  in un movimento ritenuto tanto normale quanto nella sostanza sterile e insensato, paghi solo di non esser da meno d’altri o fuori dai circuiti comuni d'esperienza. L'incontro con se stessi potrebbe avviare un percorso di presa di coscienza e di sviluppo di pensiero, che da semplici consumatori di una vita già pensata e fruibile nelle forme date, potrebbe rendere protagonisti e artefici di comprensione propria dei significati, di scoperta di ciò che per sè vale e del suo perchè, di progetto autonomo. Tutto va però formato e sviluppato, cosa che nella modalità solita di procedere, dove tutto è immediatamente fruibile e traducibile, è una sorta di novità incomprensibile, se non di anomalia. Per andar dietro, per sintonizzarsi col senso comune e con idee già in uso, per farsi condurre, confermare e dare convalide esterne, ci vuol solo spirito adattivo e gregario, non importa se in apparenza, camuffato da illusorio possesso di spirito critico e di autonomia, spesso solo di facciata e inconsistenti. Per formare visione e conoscenza proprie, per dare forma sentita, coerente con se stessi, alla propria vita, per generare il proprio, per farlo crescere, con soddisfazione nuova e profonda, serve ben altro, è necessario un lavoro, una ricerca personale, prima di tutto è necessario convergere verso se stessi, imparare ad ascoltarsi, a cercare nell'intimo del proprio sentire le guide per capirsi, per capire. Capita invece, succede frequentemente, che anzichè riconoscere nell'esperienza della stretta interiore, del malessere vivo, la possibilità e la necessità non rinviabile di incontro con se stessi, il richiamo a una verifica approfondita, anzichè proporsi come priorità l'ascolto e la comprensione di sè, si respinga  fermamente, si squalifichi disinvoltamente (prendendo per oro colato l'equazione: doloroso= sfavorevole e dannoso) ogni pungolo e richiamo che venga dall'interno, perchè difficile e sofferto, perchè discordante dalle attese e scomodo, a prendere contatto con se stessi, a iniziare a interrogarsi nel vivo, a ritrovarsi davvero. Ben connessi con l'esterno e disconnessi da sè, in fuga, pur senza ammetterlo, da ogni tentativo di veder chiaro e puntuale, di capire davvero cosa si sta facendo, paghi di definizioni e di perché convenzionali, di spiegazioni arrangiate, anzi, in non pochi casi, con la clausola, benedetta da mentalità corrente, che saper vivere significa saper stare a mezz'aria (spensieratezza, leggerezza, non dar peso…), alla fin fine ci si adatta alla passività dell'andar dietro, alla provvisorietà, all’indecifrabilità del proprio essere, incuranti di sapere, compiaciuti di rinviare, di tener lontana la verifica, di sopire la preoccupazione di trovare il filo vero ed unitario del proprio procedere e fare. In questo modo di procedere ciò che conta non è prendere davvero in mano la propria vita, che richiede fermarsi per entrare in contatto, in ascolto e in sintonia con la propria interiorità, sia per vedere nitidamente, con coraggio e sincerità, il vero della propria condizione attuale, sia per comprendere della propria vita il significato e lo scopo autentico come profondamente concepito, desiderato, voluto. Tutto questo è fuori dal proprio sguardo e dalle proprie mire, perchè sembra bastare ciò che si conosce o che ci si illude di conoscere di se stessi e del significato della propria esperienza, perchè ciò che conta e urge è non perdere contatto con altro, è non intralciare l'andar avanti tra una cosa e l'altra, legati a questo o a quello, è non incontrare ostacolo o ritardo nell'inseguimento di una cosa o dell'altra, su cui esercitare o mantenere la presa. Nella condizione di simbiosi con altro da sè, in cui, scontatamente, quasi automaticamente, ci si fa dare da altro un che di essenziale (e fatalmente ci si lega a questo altro, consegnandogli il proprio apporto vitale di tempo, di energie e di dedizione, per confermarlo e per tenerlo in vita), non si sa e non si vuol vedere con chiarezza cosa sta accadendo, ci si persuade che tutto è normale, facendo conto su esempio e credo comune, su comune andazzo. Tutto è normale e l'interiorità che stacca, che col malessere complica, che vorrebbe far vedere chiaro, è giudicata subito l'anomalia da mettere a tacere. La simbiosi con altro da sè, sia che questo altro sia cosa, mentalità, abitudine o persona, una o più, elette a riferimento o a ragione di vita, è continuamente confermata come condizione di vita irrinunciabile e sana, con tutta la consacrazione fatta dal pensiero comune, che per esempio incoraggia e premia l'attaccamento alla "realtà", che stigmatizza ogni movimento di ripiegamento, di avvicinamento a sè, a meno che non sia fugace e finalizzato al pronto rientro nell'insieme.  Non da meno la simbiosi è sostenuta e prontamente rinvigorita dall’apparato di sostegno delle stesse cure di non pochi curanti, che non smentiscono certo l’idea che prima di tutto bisogna scacciare la crisi interiore, staccare dal dentro, per rinsaldare i legami col fuori. L’invito a spensierarsi, a dar peso e valore esclusivo a quel che c’è, ai legami con altri e con altro, a rinsaldarli, a renderli motivanti o rimotivanti per riprendersi, a leggere il malessere interiore solo in dipendenza e in funzione d'altro, l’aggiunta di droghe (psicofarmaci) per metter ordine, per tentare di zittire l’ansia e ogni altro fastidioso sentire, per ripristinare l’ordinato "sano" procedere libero da richiami interiori, sono il contributo curativo all’andar via da sé. Sono la riconferma della fatalità, dell'ovvietà della simbiosi con l’esterno, con altro, che già scontatamente darebbe volto, contenuto e definizione alla propria vita, senza necessità di capire nulla, senza possibilità di cambiare nulla, di scoprire e di generare nulla di diverso, di aprire nuove strade, originali e conformi a se stessi.

 

Il controllo

Il controllo è la forma più frequente di rapporto con tutto ciò che si vive e di cui si fa esperienza interiormente. Da un lato c'è la consegna alla parte conscia del compito di dirigere le operazioni di pensiero e decisionali, di indirizzo nelle scelte, di spinta e di  tenuta volitiva nelle decisioni prese, dall'altro le espressioni della vita interiore, dalle emozioni, agli stati d'animo, dalle pulsioni a tutto ciò che, esercitando presa e coinvolgimento, interviene nell'esperienza, è considerato materia da regolare e da tenere sotto controllo. I significati dei vissuti, di quanto si propone intimamente, sono spesso prontamente dedotti e, fatti rientrare nell'orizzonte del pensiero abituale, sono dati in qualche modo per già acquisiti, soprattutto vagliati sul grado di coerenza con ciò che si è abituati a ritenere valido e accettabile. L'interferenza, il mancato accordo e sostegno di stati d'animo e di moti interiori, che non garantiscono la stabilità dei propositi e la continuità del percorso che si sta e che si vuole seguire, induce a mettere in opera subito la forza di interdizione del ragionamento e la pronta mobilitazione di ogni energia possibile a difesa di quelli che sono considerati i propri legittimi e validi interessi. La preoccupazione circa l'incoerenza o le minacce di intralciare gli intenti e i convincimenti razionali esercitate da ciò che si sente o che, in adesioni a spinte interne, ha prodotto conseguenze sul comportamento, che paiono affatto favorevoli e promettenti, alimenta la necessità di tenere a bada, di riportare sotto controllo simili spinte e moti interiori. Se intervengono ad esempio impaccio, timore, ansietà o l'umore, anziché sereno e fiducioso, si oscura, questi svolgimenti interiori, imprevisti e indesiderati, diventano presto bersaglio di una critica che pretende altro. Talora c'è il tentativo di spiegare, di trovare una causa, fermo restando che tutto dovrebbe svolgersi diversamente rispetto agli esiti giudicati infausti che quegli eventi interni stanno minacciando di provocare. Dunque anche l'approccio che pare più aperto, volto a capire, parte sempre dal presupposto e dalla pretesa che tutto debba svolgersi nel modo voluto e programmato, mai messo in discussione e fatto oggetto di attenta verifica, indisponibili dunque a ascoltare e a recepire ciò che il sentire che si è messo in mezzo o di traverso nell'esperienza vuole e sa dire. Questi interventi del sentire e dell'intimo, tutt'altro che sciagurati o espressione di un che di insano e di difettoso, sono viceversa un valido e tempestivo contributo per aprire una attenta presa di visione riflessiva su ciò che si sta facendo e perseguendo, sono uno stimolo, sono una mossa decisa dal profondo, per dare primato all'esigenza di capire ciò che si svolge nell'esperienza, di capirsi. Sull'aver da dire in relazione a altri, a cui può frapporsi impaccio e mancata fluida parola, prevale per esempio l'istanza di capire cosa e perchè dire, vincolati a quale esigenza e per produrre che cosa. Sull'ottenere buona prova prevale nelle intenzioni del profondo, che anima tutte le spinte e gli interventi del sentire, l'istanza di capire a che scopo si vogliono ottenere i risultati voluti, per rispondere a quale bisogno o aspirazione, dentro quali vincoli. La parte profonda non è cieca, l'inconscio vuole alimentare  la presa di coscienza e non la riuscita ad ogni costo. La presa di coscienza vale, è essenziale per costruire il fondamento di una visione che permetta capacità di orientarsi, di trovare in accordo con se stessi la comprensione del vero, di collocare nelle proprie mani la capacità di scegliere e di dirigersi, di autogoverno maturo e saldo. Pare sfavorevole la mancata riuscita dei propositi abituali, la mancata  prestazione, ma ciò che più vale, che il profondo fa valere con i suoi interventi nel sentire, è l'esigenza di non procedere ciecamente a testa bassa, di capire, di porre le basi per riconsegnare a se stessi il compito e la facoltà di comprendere, di vedere da sè con i propri occhi cosa è importante e valido e perchè e per perseguire scopi da sè riconosciuti come significativi e appassionanti. Fare di sè, come spesso accade, uno strumento per ben figurare e per servire le attese o presunte attese altrui di buona prova, per riceverne plauso, conferma e apprezzamento è una cosa, è una scelta dipendente e succube, riservare a se stessi invece la facoltà di riscoprire il significato e il valore della conoscenza in accordo e in unità con se stessi, con tutta la libertà e la soddisfazione, seguendo propri originali percorsi, di scoprire e di comprendere significati e valori per intima esperienza, anzichè desumere significati e farseli dire da altro e riprodurli da bravi scolaretti, è tutt'altra storia. L'interiorità  non ha e non asseconda spirito gregario, ma lavora per coinvolgere nella ricerca e nella scoperta del vero. Se delude le aspettative è per capacità e per forza d'animo, che possiede, di promuovere consapevolezza, fonte di crescita e leva di conquista di autonomia. Grande è la miopia e il fraintendimento di ritenere che interiormente tutto debba filare per il verso che si vorrebbe, quando è proprio la parte di sè interiore, se rispettata e saputa ascoltare, che può offrire il meglio, l'alimento alla propria realizzazione autentica, non confusa con la buona resa dentro i criteri prevalenti di riuscita e le guide comuni per ottenerla e per darne prova. Da tenere sotto controllo non è la propria interiorità perchè non disturbi e si uniformi, ma il proprio procedere e pensare, da vigilare e da verificare con attenzione, perchè non è affatto detto che sappia garantire la miglior realizzazione di se stessi. 

mercoledì 13 marzo 2024

L'ospite indesiderato

Tutto si vuole includere nella propria vita perchè le dia più opportunità di sviluppo, meno che ciò che vive dentro se stessi. Si vuole che questa parte di sè  fondamentalmente non disturbi, che intervenga come si gradisce che faccia, che si disciplini e si corregga se non fa da buon gregario per i propositi che si vogliono perseguire, che taccia e si levi di torno se gli crea ostacolo. Le si mettono sopra le spiegazioni e i commenti in apparenza più ragionevoli, in realtà i più strampalati, che come tali si rivelano quando si ha la bontà e l'intelligenza di ascoltarla, di intendere fedelmente ciò che dice. In modo rigido e ottuso, senza prestare ascolto, si riversano sul conto di ciò che si vive interiormente i luoghi comuni, si dà per scontata la logica comune. Tutto deve procedere in un'unica direzione. Se insorgono segni discordanti di malessere rispetto all'istanza che tutto si svolga senza ostacoli, interviene prontamente il fai da te dei tentativi di controllo, di ricerca del rimedio, sia nel verso di provare a allontanare e dissolvere ciò che interiormente risulta spiacevole, dell'evadere, del cercare qualche distrazione e investimento sostitutivo, sia del tenere sotto tutela e controllo fin che si può, l'esperienza intima da subito intesa come ostile e inopportuna, indesiderata, tutto per non compromettere la marcia abituale. Se non bastano questi espedienti ecco il ricorso alle cure, le solite e più convenzionali del metterci qualche farmaco per sedare o per tirar su, in ogni modo per manipolare ciò che si sente. C'è poi il ricorso alle psicoterapie, a partire da quelle, oggi più in voga e diffuse, che vantano pretese di scientificità, di impronta direttiva,  di tipo cognitivo comportamentale, che ribadiscono il ruolo egemone della parte conscia razionale chiamata a intervenire, sotto la guida del terapeuta, per prendere atto del carattere disfunzionale, a sè sfavorevole, di modalità di pensiero e di conseguenti vissuti e risposte emotive (tipo ansia, paure, insicurezza, sfiducia e bassa autostima ecc.), ritenute distorte e irrazionali, da correggere, sostituire e riplasmare con l'apprendimento di modi di pensiero più valido e razionale, a supporto di risposte emotive, giudicate sane e adeguate, funzionali a un procedere che, nelle coordinate di ciò che è solitamente concepito come valido e normale, voglia essere favorevole e soprattutto indisturbato. Le stesse psicoterapie che vorrebbero essere introspettive e, con varie denominazioni, analitiche non mettono spesso in forse il ruolo egemone della parte pensante razionale chiamata a indagare, spiegare, interpretare fino a scovare nell'intimo, nel profondo presunte cause ignote di un malessere che lì troverebbe la sua origine. Arrivano poi annunciate con colpi di festosa grancassa  le cure di ultimo grido, le nuove pensate, presentate come ultimissime scoperte e risultato dei progressi della scienza. Sono le nuove tecniche che promettono di liberare da intoppi, da conseguenze nefaste di traumi, da accidenti vari, casomai di incrementare il rendimento, ingegnose pensate che tutte partono dal presupposto, mai in discussione, che il meccanismo, che il presunto meccanismo della psiche, se in salute, debba girare a dovere, che, se c'è crisi e malessere interiore, da qualche parte si sia inceppato, che in qualcosa per qualche causa nefasta non renda come dovrebbe. Americanate del cavolo, spacciate per progressi e mirabolanti scoperte scientifiche, che hanno comunque il buon supporto e che trovano pronta credula accoglienza nell'idea comune che se c'è malessere significa che c'è guasto e necessità di rimedio, possibilmente facile e veloce, fatte salve dunque e fuori discussione tutte le condizioni del procedere, mai oggetto di riflessione, di attenta comprensione e verifica. L'intimo, ciò che si fa sentire, che interiormente accade, non ha significato se non per il contributo che dà o che non dà al procedere che si vuole far girare a senso unico e persistere. Non c'è alternativa. L'interiorità si spende per dare segnali di necessità di verifica. L'inconscio mette a disposizione l'intelligenza di cui dispone, che non venduta al senso comune e alla necessità di tenere su l'edificio di una realizzazione di se stessi tutta da verificare e capire nei suoi fondamenti, vuole spingere a guardare con attenzione nel proprio modo di procedere,  per non perdersi nell'illusorio, per non fallire i propri veri scopi, tutti casomai da riscoprire. Questa parte del proprio essere, che scuote, che nel sentire dà segnali tutt'altro che di malfunzionamento o di preoccupante dissesto, ma mirati a aprire spazi di ricerca, a avvicinare e portare lo sguardo su di sè e non come è abituale all'esterno, non ha ascolto rispettoso, nemmeno è riconosciuta nella natura del suo essere, che guarda caso è essere parte fondamentale del proprio essere e non un che di alieno, che non è compresa nel suo valore, nel suo potenziale, nella sua capacità. E' vista solo come un'appendice minore, una coda, che, come tale, dovrebbe solo scodinzolare a comando. Se non sta nei ranghi ecco il trattamento, perchè si rimetta in riga, perchè non rompa i piani e i propositi abituali. Nell'idea comune sotto il livello del ragionare e dell'esercizio del volere nell'individuo esiste solo un qualcosa che deve assecondare e che per pregiudizio è parte meno affidabile e evoluta da tenere a bada e da vigilare e nel caso da disciplinare e da rieducare. Diventa normale in risposta a esperienze e spinte interiori, particolarmente se non piacevoli e sgradite, opporre principi, valutazioni e giudizi, selezionare ciò che varrebbe e ciò che no, spiegare, interpretare, sostanzialmente non accogliere e non ascoltare, non intendere il contributo interiore, pregiudizialmente considerato solo come parte da tenere sotto controllo e da regolare. Si finisce, senza capire la gravità della sostanza e delle implicazioni di ciò che si sta facendo, per bistrattare ciò di cui si è portatori, per trattare da subalterna e da incapace la parte intima e profonda del proprio essere, la parte in realtà più vigile e dotata di intelligenza che sa vedere cosa si sta facendo di se stessi, che, mobilitando il sentire e con i sogni notturni, vuole contagiare e coinvolgere la parte del proprio essere in cui si è confinati per riportare il pensiero a essere da ottuso ripetitore di schemi e di attribuzioni di significati correnti a pensiero utile e fecondo, a pensiero riflessivo, aderente al vero dell'esperienza, capace di interrogare e riconoscere cosa si sta facendo e come si sta procedendo, se al seguito d'altro e in posizione docile e preoccupata solo di dare buona prova e di riscuotere gradimento e plauso o se viceversa capace di coltivare e di generare il proprio. La parte profonda reclama l'umano, che non è dare prova, ma trovare le proprie ragioni d'esistenza e le proprie risposte, i propri scopi da realizzare per intima persuasione e passione e non per avere in qualche modo successo o per cercare adattamento e quiete nel vedersi e nel dirsi normali. La parte profonda del proprio essere non è la presenza oscura da tenere a bada, non è l'ospite indesiderato cui porre limiti e condizioni, in alcuni casi da estromettere, è semmai il meglio di sè su cui imparare a fare conto e da cui tanto, tantissimo si può ricevere e imparare.

giovedì 1 febbraio 2024

La crisi e le soluzioni farlocche

E' di poca fatica e di grande godibilità mettere assieme tesi, spiegazioni e soluzioni farlocche, di facile costruzione. In situazioni di crisi in cui si avverte il malessere e l'insoddisfazione per uno stato della propria vita che risulta opaca, grigia, angusta e povera di valore, in cui si sente tarpata la gioia perché lì dentro, in quella condizione, quel che appare di se stessi e della propria condizione non può di certo metterle le ali, è risposta frequente cercare di dare a se stessi soluzioni tanto facili, di pronta esecuzione, di apparente validità, quanto fasulle. Gli si costruisce attorno delle tesi d'appoggio che rendano credibile ciò che si sta offrendo a se stessi. Il primo passaggio è vedersi infelicemente schiacciati, privati, considerarsi come vittime di un torto, di uno scontento che pare reclamare pronta ricompensa e riscatto. La propria responsabilità, ciò che, risalente a se stessi, ha creato quello stato infelice passa subito a lato, non è preso in seria considerazione, analizzato, compreso. Così facendo si va via dal cercare le basi della conoscenza e della scoperta autonoma delle vie del riscatto della propria vita, del contenuto e dello scopo di un cambiamento vero. Si va via  dal lavoro necessario su se stessi, sulla propria esperienza che permetta la formazione del proprio giudizio, della valutazione appropriata, pertinente, fondata, frutto della comprensione autonoma, di ciò che è insito nelle proprie scelte condotte sinora, riconoscendone la vera natura, arrivando a vedere con i propri occhi cosa non va della propria vita, prendendo visione diretta di quanto si è messo in atto, risultato del proprio modo di procedere e di farsi interprete delle proprie esigenze e aspirazioni, comprendendo cosa per opera propria ha messo in stallo e miseria, in mediocre esito e stato di disvalore la propria vita. Solo così facendo, lavorando con cura e serietà su se stessi, si può cominciare a vedere, a riconoscere il valore vero che è mancato, che si vuole coltivare e far crescere, cosa, intervenendo su se stessi e modificando il proprio modo di procedere, si può e si vuole perseguire, cosa, davvero congeniale e fedele a sè, tratto e messo in opera da sè, darebbe vera gioia e otterrebbe pieno apprezzamento e stima propria convinta e non quella, a più pronto uso, presa in prestito e subalterna al giudizio e all'apprezzamento altrui. L'immagine non esaltante di se stessi e del proprio stato, che la crisi interiore mette dolorosamente in risalto, presto, dove e quando si eluda il lavoro, certamente impegnativo e paziente, su se stessi, si veste e prende il volto dipinto da fuori, fa appello e prontamente trova sostegno e guida nello sguardo comune, da cui si fa dare i parametri, le misure, i criteri di valutazione. Sempre da sguardo comune sono desunte e tratte le indicazioni delle vie di riscatto, di recupero da seguire. Se si ha dolorosa percezione di valere poco e che poco valga e dia gioia la propria esistenza, se incalza il timore o l'orrore di rimanere in quello stallo o di cadere ancora di più in disgrazia, ecco già pronto il manuale che dice come rimettersi in pista, come risollevarsi, come ottenere una rivalutazione di se stessi, la propria rivalsa. In che modo, a quali condizioni così desunte è possibile rivalutare se stessi e la propria vita? Il corpo e l'aspetto fisico sono spesso il primo terreno di intervento per puntare al riscatto, per alzare le proprie quotazioni, per avere sembianza che piaccia, che risulti interessante, pregevole, apprezzata. E' la leva per avere opportunità di richiamare a sè l'interesse e l'apprezzamento degli altri e casomai di chi ci si dedichi particolarmente a destinare a sé attenzione, predilezione e cariche di desiderio che facciano da ricarica della stima di sè, del proprio valore che erano a terra, che ridonino entusiasmo e lo galvanizzino, che nella propria vita portino la luce e l'ebbrezza del nuovo. Soluzioni e percorsi farlocchi, tutti in delega di potere e in appoggio a altro, che alimenti e supporti ciò che altrimenti non è di facile autonomo raggiungimento e conquista. A sostegno dell'artefatto, perché la costruzione regga e risulti credibile e perciò godibile, ecco intervenire tesi, letture e interpretazioni della propria esperienza in atto sulla via del riscatto, che di certo non cercano il vero di ciò che si sta facendo, ma che permettono di raccontarsela  in modo similvero, utile a che si renda godibile la festa. Volentieri ci si racconta che finalmente si sta dando spazio a se stessi, che si sta liberando la propria voglia di vivere, che è in atto un cambiamento e casomai una riscoperta di se stessi. Balle su balle, chiudendo gli occhi sul vero, su come si sta dando risposta alla crisi con soluzioni prese in prestito, con rimedi che, pur inebrianti e eccitanti, trovano sostegno in altro, chiudendo gli occhi e non dando peso alla dipendenza ad esempio da chi ha avuto la consegna di potere di dare la ricarica di vitalità e di fiducia in se stessi, di autostima oltre che di fare da incentivo a nuova consapevolezza, si fa per dire, che su queste basi, fragili e dipendenti, hanno avuto modo e luogo di esistere e che casomai presto avranno modo di sbollire. Un'altra via, frequentemente battuta, del riscatto e della apparente rinascita e rivalutazione di se stessi e della propria vita, come risposta e soluzione alla crisi, può essere quella, sempre segnata e consegnata da fuori, del successo del fare, del mettere in luce doti di capacità, di prestanza, di presunta intraprendenza, coraggio, intelligenza e quant'altro, capaci di riscuotere benedizione e applauso, che fanno conto su una qualche glorificazione. E' un'altra soluzione farlocca, costruita in appoggio a altro e in debito di altro su cui si fa conto come autorità garante della sua validità, autorità del sistema di giudizio e di stima comune che svolge il compito, perché la (pseudo)conquista sia considerata  attendibile e fruibile, di riconoscerla come tale e di esaltarla. Ancora devono intervenire le tesi di appoggio, che mistificando e offrendo a se stessi beneficio di credibilità per la godibilità dell'espediente di rinascita messo in atto, convincano di essere davvero protagonisti e  artefici compiaciuti di imprese e conquiste che rivelerebbero a se stessi il proprio merito, le capacità e le prove di cui essere fieri. Quante costruzioni farlocche, tanto gradite e rese con bei giri di ragionamento credibili, quanto ingenue! La crisi che interiormente scuote e tormenta, che dà sofferenza, che tiene vivo il malessere chiede ben altro perché non sfoci in questi esiti. Solo sul vero, conquistato, compreso senza risparmio, si può costruire solidamente e dare a se stessi nutrimento di crescita autentica e non fasulla e artefatta, presa in prestito ingenuamente. E' proprio a questo scopo che interviene e lavora l'inconscio, capace di dare un contributo essenziale e imprescindibile alla conoscenza di se stessi e alla ricerca di realizzazione e crescita che non finiscano nelle secche dell'apparentemente valido e nelle trappole del similvero. Sull'inconscio si può fare sicuro conto come propria guida e maestro, è una parte viva di se stessi che tanto sa dare e da cui tanto si può ricevere a condizione di saperlo ascoltare, di intenderne fedelmente le proposte e di condividerne l'intento e  l'impegno di ricerca di verità e di conoscenza. L'inconscio, se da un lato apre la crisi, le dà voce e forza di imporsi come priorità, dall'altro col sentire, che per intero modula e dirige, dà gli spunti e gli stimoli opportuni, coinvolge, cala nel vivo e dà le tracce da seguire per non stare altrove dal luogo dell'incontro col vero e con i sogni indirizza con sapienza magistrale e nutre con cura eccellente la ricerca, dando le chiavi di comprensione e i simboli per dare volto e riconoscibilità al vero, guidando lo sguardo e il pensiero ben oltre le apparenze. 

mercoledì 31 gennaio 2024

Il rischio di travisare

Non è sempre facile accettare ciò che si vive interiormente, condividere con se stessi ogni passo compiuto, soprattutto ciò che di ogni passo è la traccia viva, ciò che il proprio sentire testimonia, spinge e guida a riconoscere come il  vero di quel momento dell'esperienza. L'interiorità, l'inconscio che ne è l'ispiratore e l'anima, dà risalto a ciò che è sinceramente coinvolto di sé nell'esperienza, a ciò che è importante mettere a fuoco e riconoscere, avvicinare e comprendere. La forma può essere spigolosa, ardua, anche se mai esagerata, sconsiderata o impropria rispetto a quanto di vero vuole rendersi tangibile e riconoscibile, talora è acutamente dolorosa, altre volte è così stringente, assillante e imperiosa da far risultare quella situazione interiore quasi intollerabile, da essere vissuta come ostile e minacciosamente lesiva verso sé e i propri interessi. La risposta a una simile situazione interiore è spesso di allarme, di tentata fuga, non di rado di rigetto, di squalifica e di invalidazione come abnorme e assurda. Spesso la lettura dell'esperienza interiore disagevole e sofferta è preconcetta e incapace di cogliere l'intento e il senso vero di ciò che l'interiorità con quel sentire vuole indurre a capire e a portare a compimento. Al primo posto si impone l'istanza di risolvere, di dissolvere il disagio, di approntare rimedi a ciò che è visto come uno stato negativo, una condizione da superare. L'incapacità di reggere la tensione condizionata non poco dall'idea che vada procurata prima di tutto a se stessi un'uscita liberatoria, mette facilmente al primo posto l'esigenza di agire, di risolvere, anziché quella di fermarsi per riflettere, cioè per guardare bene dentro le tracce vive e la consegna del sentire, che per quanto doloroso e fitto di disagio, vuole portare a vedere, a aprire gli occhi su ciò che più coinvolge se stessi, a scoperte di verità, sinora ignorate, su cui sensibilizzarsi e coinvolgersi, su cui lavorare. E' frequente l'errore di dare una lettura distorta di quanto interiormente angustia e inquieta, mettendo in primo piano l'esterno e gli altri, più o meno direttamente messi in gioco o volutamente tirati in ballo muovendo da quel sentire, considerandoli fondamentali parti in causa, parti responsabili o referenti principali, non capendo che l'intento dell'interiorità è di portare lo sguardo su quanto di se stessi è coinvolto e che è ora di mettere in primo piano, di riconoscere. Frequente è invece dare priorità alla necessità di intervenire sul piano esterno, con l'idea, così facendo, di porre mano e riparo alle questioni, con la conseguenza di fraintendere, di non capire cosa realmente quel movimento interiore vuole segnalare rivolto, indirizzato a sé, con la conseguenza di non capire nulla di utile e fondato, di tornare viceversa a impegnare se stessi in modi e modalità tutte di vincolo e di impegno verso altro e altri. Il rischio, anzi la fatale conseguenza, è di riconfermare, assieme ai soliti riferimenti e schemi di giudizio, le stesse modalità e vincoli, spesso tutt'altro che felici, di cui si è ben poco consapevoli di ciò che sono e che implicano. Sono spesso espressione di legame e di investimento dipendente su altro e su altri, che coincide col mancato investimento, che richiede dispendio di energie e paziente lavoro su se stessi, su crescita propria, su ricerca e sviluppo dentro sè di ciò che, preso da fuori e da altra fonte, destinato fatalmente a essere solo un compenso e un sostituto improprio, risulta di più facile e immediata acquisizione. In qualche modo incorporato o fatto vivere come proprio un simile sostituto di bene essenziale ottenuto in legame con altro che lo garantisce, è fatale che tenga vincolati al mantenimento del legame, vivendo come sciagurata oltre che insopportabile la sua perdita, a meno di trovare pronta sostituzione o ripiego in altro. Proprio per la priorità data ai legami esterni e a quanto si pensa possano o debbano dare o viceversa negare e tradire, tenendo lo sguardo e le aspettative tutte rivolte all'esterno, non è poi raro che le risposte al disagio puntino su cambiamenti, anche radicali, di situazioni concrete, pensati come  risolutivi e a sé favorevoli, siano essi di rottura con circostanze e luoghi, con situazioni di lavoro e abitudini, che di rottura di legami interpersonali e affettivi, con indispensabile pronta sostituzione con altri legami e punti d'appoggio, o di loro precipitoso restauro e recupero, perchè non vada persa la presa su ciò e su chi è diventato di vitale sostegno. Sono cambiamenti e interventi che, ben lungi dal produrre il nuovo, non mutano la sostanza di ciò che è messo in gioco di se stessi, anzi che la mantengono tale e quale, finendo solo per illudere di aver dato risposta congrua e efficace, di aver prodotto con rapida esecuzione un reale cambiamento valido e confortante o di aver messo in atto un provvedimento di consolidamento utile. Queste risposte, oltre a risultare velleitarie e sterili, di fatto chiudono la strada alla possibilità, attraverso un ben più maturo e ben diversamente proficuo impegno di ricerca, di generare, in ascolto e in dialogo con la propria interiorità, lavorando con fedele sintonia con quel sentire arduo e doloroso, chiarimenti su se stessi e sui propri modi di procedere e di condurre le proprie scelte e la propria vita, su nodi decisivi mai in precedenza riconosciuti e compresi, conquiste di pensiero e di consapevolezza nuove, fondamento necessario di scelte e di nuovi propositi, finalmente lucidi di verità, ben fondati e coerenti con se stessi. E' frequentissimo e non solo per  iniziativa e per lavorio proprio abituale, ma non di rado anche dentro un'esperienza di psicoterapia, fraintendere la proposta interiore, mettendole sopra letture e risposte, interpretazioni e spiegazioni, che, anziché raccogliere l'originale e il vero della proposta interiore, danno, pur con l'illusione o la pretesa di aver spiegato e chiarito, il via al ritorno e al consolidamento di modalità di sguardo, di pensiero e di risposte solite, che mettendo in primo piano l'esterno, altro e altri, vanno con lettura univoca a chiudere la ricerca nel recinto del consueto, ribadito come scontato. Va persa così la possibilità di presa di coscienza nuova, che richiede, con un cambio di prospettiva consona a ciò che l'esperienza interiore vuole suggerire e promuovere, di mettere al centro dello sguardo se stessi, i propri modi di procedere, le proprie responsabilità nel condursi. L'alternativa in gioco nel modo di trattare la propria esperienza interiore è tra infilarsi e incastrarsi nel solito recinto di pensiero e di attese che vedono sempre altro e altri avere la priorità come causa e come soluzione, e recuperare invece visione vera e centrata su di sé, lavorando su ciò, decisivo e centrale, che si fa di se stessi, andando alla scoperta di ciò che si ignora e non si conosce di se stessi e in primo luogo della parte intima e profonda, mai considerata e riconosciuta nel suo valore, in realtà essenziale per la capacità che ha, se ascoltata e compresa in ciò che dice nel sentire anche se arduo, di aprire strade, percorsi di conoscenza e sviluppi di pensiero completamente nuovi e originali, consoni a sé e validamente liberatori dai luoghi comuni, dagli eterni ritorni all'uguale, anche se riverniciato e rianimato da apparente linfa nuova. Ciò che si sente e che si svolge dentro la propria vicenda interiore è senza esclusioni, anzi nelle parti più difficili con un più di capacità di far fare passi avanti di conoscenza e di crescita personale, il mezzo e il veicolo per capirsi, unitamente e di concerto con i sogni, che nel promuovere e guidare la conoscenza di se stessi hanno un ruolo fondamentale e imprescindibile. Se dunque c'è un modo, il più frequente, che, nel rapporto con l'esperienza interiore,  spinge a senso unico il discorso, la ricerca di spiegazioni e di soluzioni, in perenne appoggio e vincolo all'esterno, e che, seppure con la promessa di risolvere e di rinnovare, riporta dentro la visione, l'orizzonte e gli intenti abituali, ce n'è un altro, da imparare a conoscere e a praticare, fortemente promosso dal proprio profondo, che invece impegna all'ascolto attento e fedele e alla valorizzazione di tutto ciò che il proprio intimo propone, alla condivisione con la propria interiorità della ricerca del vero di se stessi, essenziale per fondare la propria libertà e autonomia di pensiero e di realizzazione.

domenica 21 gennaio 2024

L'autonomia

L'autonomia è la questione centrale, al centro del confronto tra l'inconscio e la parte cosiddetta conscia. E' comprensibile che sia così, che ci sia dibattitto necessario, a volte acceso tra le due parti, lo si comincia a comprendere quando si comincia a aprire gli occhi, a riconoscere come tale la bolla di illusione che lascia credere che bastino manifestazioni di presunta autonomia da recita per dare compimento all'aspirazione di dire la propria a modo proprio. Alla parte profonda non basta di certo la recita e l'illusione, sa bene che su questo terreno si gioca la realizzazione, la messa a frutto di una vita. Occhi ben aperti dunque e in questo l'inconscio, maestro e guida nel veder chiaro, è una garanzia. Tant'è che non concede complicità, non dà manforte alla richiesta di convalida, di mantenimento delle pie illusioni. Il malessere interiore è spina nel fianco, è scuotimento di certezze di comodo, è crisi che vuole verità e trasformazione, cambiamento non di poco conto. Una impostazione della vita e un modo di procedere che si rifanno e si lasciano guidare e plasmare da altro già ben formato e definito, che ne ricalcano le orme e gli indirizzi, che consegnano all'aspirazione di figurare bene al cospetto del giudizio esterno il compito di tradurre il proprio desiderio di dire la propria, sono il terreno su cui interviene l'inconscio per sollecitare una verifica attenta, una scrupolosa  presa di coscienza del vero. L'autonomia di cui ci si può illudere è spesso l'autonomia del bravo bambino, del diligente scolaretto che fa mostra di buona capacità di riuscita, di estro in alcuni casi nel rimenare discorsi e renderli originali si fa per dire, nel farsi vanto di riuscita ben dentro le guide di un discorso già impostato, di un credo, di un sistema di attribuzioni di significato e di valori già pronti e codificati, che come pezzi di un lego possono essere variamente combinati, assemblati, di una progettualità che ha già caselle e piste da percorrere in cui infilarsi e avanzare, procedendo con passo più o meno lesto. L'inconscio non ci casca. L'inconscio è l'anima di una vita che, sostenuta da intelligenza vera e non da palcoscenico o da accademia, vuole crescere e generare, dare al mondo il proprio, senza le scorciatoie delle imitazioni, senza la sbornia della rincorsa del consenso o dell'apprezzamento altrui e generale, veri elementi tossici che drogano la coscienza e il pensiero, che tengono in pugno la volontà di riuscita, che li rendono ottusi, che li piegano a essere schiavi della bella figura. Fare vivere l'autentico di sè, rispettando e valorizzando al meglio ciò di cui si è portatori, formare e alimentare visione e pensiero propri, trovare nella pienezza del rapporto con la propria interiorità le risposte e le ragioni d'esistenza proprie, scoprire ciò che ai propri occhi risalta come carico di valore , che perciò con sincera passione si sente di voler far vivere, senza attaccarsi ad altro, senza bisogno di conferma e d'apprezzamento esterni, di trarre da lì incentivo e gratificazione, senza bisogno di platea che annuisca, che apprezzi e applauda, questo è il terreno della formazione e conquista della autonomia vera e non da recita. Prima di tutto c'è la necessità di vedere le cose, l'andamento solito, il proprio procedere abituale, per ciò che sono, di far cadere le illusioni e le mistificazioni, di riconoscere cosa sono per davvero e su cosa si sorreggono, di aprire gli occhi per riconoscere il vero, senza preconcetti, puntualmente, analiticamente, scientificamente. Questo è il lavoro che l'inconscio nel proprio vero interesse spinge e guida a fare, lo fa mobilitando il sentire, i vissuti e l'intera trama delle vicende interiori, lo fa magnificamente e con superlativa intelligenza attraverso i sogni. Da un lato vuole condurre l'individuo a fare chiarezza, senza limiti e condizionamenti, vincendo le remore della parte che vorrebbe tenere in piedi gli artefatti, perchè ci si è fortemente compromessa e perchè ci si è affezionata, dall'altro l'inconscio spinge per saggiare il gusto nuovo e diverso di elaborare con cura, di cucinare e di dare a se stessi cibo di conoscenza vera, ben più gustoso e nutriente, ben più capace di alimentare crescita personale delle solite pietanze, più o meno reclamizzate, prese da cucina pronta di modelli, di idee e di traguardi di riuscita e di successo in voga e benedetti. L'autonomia di concepire e saper dire la propria e a modo proprio, di conquistare vera capacità di autogoverno per salvaguardare, per onorare e per affermare il valore unico della propria vita, per realizzare aspirazioni e progetti davvero originali, è la conquista e il dono che l'inconscio vuole riservare. Non è un pacco dono pronto da scartare, è un dono da conquistare, per cui dare, in stretto legame e alleanza col proprio intimo e profondo, il meglio del proprio impegno, della propria voglia di vivere.

sabato 6 gennaio 2024

Il "mestiere" di psicoterapeuta

Ripropongo con qualche integrazione un mio scritto di molti anni fa su un argomento che, a chi voglia soffermarsi sulla qualità dell'aiuto che vorrebbe ricevere da uno psicoterapeuta, potrebbe rivelarsi utile.                                                                  Quali sono le basi necessarie e irrinunciabili per svolgere il lavoro di psicoterapeuta?  L'unico strumento di cui lo psicoterapeuta non dovrebbe essere privo è la capacità riflessiva. Non sto parlando di riflessione e di capacità riflessiva come solitamente si intendono e si praticano e che si traducono nel confezionare sul conto dell'esperienza e di ciò che si vive qualche spiegazione ragionata. Sto parlando di capacità riflessiva come capacità di entrare in rapporto e di prendere visione senza distorsioni dell'intimo di stati d'animo, di emozioni, di esperienze interiori di cui si è portatori, dentro cui si è coinvolti. Il suo possesso da parte dello psicoterapeuta non è per nulla scontato, coincide con lo sviluppo di una matura capacità di ascolto e di dialogo con la propria interiorità, frutto di un approfondito lavoro su se stesso. Non è affatto garantito da studi, da iter formativi in scuole, da apprendimento di tecniche, da possesso di titoli e della stessa abilitazione a svolgere la professione di psicoterapeuta. Il possesso dello strumento riflessivo è però fondamentale. Se non ha capacità di rapportarsi a se stesso, se non sa accogliere e raccogliere i suoi vissuti ed ascoltarli, lo psicoterapeuta è sospeso nel vuoto. Se non sa da un lato lasciarsi prendere, investire, coinvolgere pienamente (nel suo spazio intimo) dalla spinta interiore, dall'emozione, dal sentire e dall'altro non sa prenderne distanza per vedersi riflessivamente, per vedere come dentro uno specchio ciò che gli appartiene, per riconoscere cosa di sé gli si rivela nell’esperienza che vive, cosa interiormente ha preso forma, lo psicoterapeuta vaga nel nulla o procede pericolosamente. Manca infatti dello strumento fondamentale per scoprire cosa di volta in volta gli accade, per orientarsi, per capire l'esperienza e la dialettica interiore. Rimane tutt'uno e adeso inconsapevolmente a ciò che si muove in lui, non lo vede, non lo comprende. Nel rapporto con la propria intima esperienza dà credito alle spiegazioni che mette in campo, spiegazioni più o meno sofisticate e in apparenza coerenti, che, capaci di dargli sostanziale conferma nelle sue persuasioni consuete, ricalcano e ricombinano schemi e attribuzioni di significato diligentemente appresi, fino a convincersi di aver fatto chiarezza o, sarebbe meglio dire, fino a porre e a rafforzare dentro sé, con le sue parole e con i suoi ragionamenti, una solida barriera impermeabile al contatto e allo scambio vivo con se stesso, col suo sentire. Privo di capacità riflessiva, di capacità di ascolto e di visione di ciò che la sua esperienza interiore gli vuole rendere riconoscibile, armato di interpretazioni e di spiegazioni concepite in separata sede col ragionamento e messe sopra a ciò che vive interiormente, lo psicoterapeuta rimane nascosto a se stesso. Non ha occasione di capirsi, di ferirsi anche, di vedere di sè ciò che (diverso dalle sue attese e dalle sue persuasioni) può risultargli doloroso o scomodo vedere, non ha capacità di trasformarsi e di far crescere se stesso, di fare dell'umano più vera e profonda esperienza e conoscenza. Dicevo che vaga nel nulla pericolosamente. Sì, perché, oltre a non fare nulla di utile per se stesso, nella relazione con l'altro è possibile che faccia disastri e senza, per giunta, arrivare a rendersene conto. Vittima ad esempio della necessità di meritare l'approvazione e la considerazione, il consenso dell'altro, di provarsi e di dar prova di essere all'altezza del suo "ruolo", capace, bravo nel verso della capacità di spiegare tutto, di risolvere i problemi, senza che tutto questo gli risulti ben visibile come base vera di conoscenza di se stesso su cui soffermarsi e aprire un confronto approfondito con se stesso, lo psicoterapeuta rischia di tornare a agire queste spinte, finendo per condurre o per confermare l'altro nella dipendenza dalla sua autorità e capacità di risposta. Rischia di non vedere la sua speculare dipendenza dall'altro, che con il suo presunto, come fosse scontato e immodificabile, bisogno di riceverle da lui, lo confermi nella sua capacità di dargli spiegazioni e risposte, nel possesso di questa prerogativa. Sarebbe viceversa compito prioritario dello psicoterapeuta aiutare l'altro a formare e a sviluppare capacità di dialogo con la propria interiorità, a scoprire e a impadronirsi di questa possibilità di conoscenza, in precedenza ignote. Lo psicoterapeuta deve però possedere lui per primo capacità riflessiva, capacità di dialogo aperto e trasparente con la propria interiorità, per favorire questa possibilità nell'altro. Lo psicoterapeuta, se privo di capacità riflessiva, rischia invece e sciaguratamente di incoraggiare l'altro alla dipendenza e, come fa con se stesso, all'impiego passivo di formule e di risposte pronte. Può indurre l'altro a non ascoltarsi pazientemente e attentamente, a non concedersi all'incontro e al dialogo con la propria interiorità, con ciò che da dentro gli si propone, all'inizio oscuro, temuto. Può incoraggiare o dar manforte alla tendenza già presente nell'altro a mettere a tacere l'esperienza interiore, specie se dolorosa e ardua, a difendersene prima di tutto, a tentare di neutralizzarla con qualche spiegazione o ricerca di cause del malessere interiore in apparenza plausibili, che illudono di aver portato alla radice del problema, ma estranee all'intenzione, al senso di quel sentire doloroso, arduo, cui, per mancanza di capacità di rapporto con l'esperienza interiore, di capacità riflessiva, non è concesso vero ascolto. Tant'è che non è infrequente che a dispetto della convinzione di aver compiuto un passo decisivo chiarendo le sue (presunte) cause, il malessere insista come e più di prima, perchè incompreso nel suo senso, perchè non affatto assecondato negli scopi di presa di coscienza e di trasformazione personale, assolutamente utili e necessari, che spingeva a realizzare. Sono disastri veri e propri, perché costituiscono impedimento alla scoperta di sé e al cambiamento nel rapporto con se stessi e con la propria vita, tanto fortemente voluti dal profondo dell'individuo, quanto incompresi, ignorati. Lo psicoterapeuta può, anzichè aprirlo a se stesso, riconsegnare l'altro alla "normalità", può cioè contribuire a mantenerlo in un'idea di sé che profondamente non gli corrisponde, può (malgrado l'illusione di averlo aiutato a capire, a capirsi) chiuderlo a se stesso, mantenendolo nell'ignoranza delle sue risorse interiori, dei suoi più originali orientamenti, della sua capacità più profonda, del suo progetto. Se privo di capacità riflessiva lo psicoterapeuta non ha capacità di accedere alla vita interiore, di capirne il linguaggio e le ragioni, rischia, malgrado le pretese e le buone intenzioni, di riprodurre, pur se in una forma più sofisticata, logica e pensiero convenzionali, rischia, come fa con se stesso, di tenere l'altro in quei confini e limiti ristretti. Serve allo psicoterapeuta un bagaglio di sapere e di conoscenze apprese, perchè abbia e dia garanzia di poter svolgere bene e utilmente il suo lavoro, la sua funzione con l’altro? Parlo a partire dalla mia esperienza di analista e con riferimento all'esperienza analitica. Ogni esperienza analitica produce, crea il suo sapere. Non serve sapere già e prima, anzi, teorie e spiegazioni già confezionate e pronte, che pretendano di spiegare tutto, possono solo coprire col preconcetto ciò che invece ha necessità di manifestarsi nella sua unicità. E' il lavoro analitico a generare tutto. Ogni individuo nel suo percorso analitico è intento a un discorso originale, tutto da scoprire e da rispettare nella sua unicità. Lo psicoterapeuta, l'analista deve possedere la capacità di dialogo con l'esperienza interiore, la capacità riflessiva di cui dicevo prima. L’analista, possedendola, può trasmettere all’altro questa capacità di avvicinare e di dialogare con l’esperienza interiore, può farla crescere in lui sempre più, liberandolo dalla paura e dalla incapacità di comunicare con se stesso. L'analista, quanto più si è cercato e ha esercitato nel rapporto con se stesso apertura e dialogo, continuità di ricerca, tanto più può rivolgersi utilmente all'altro per sostenerne, con pazienza e con fiducia, il viaggio di ricerca dentro se stesso. Se lo psicoterapeuta, se l'analista è solo imbottito di teorie e di sapere già formato e preso in prestito, tenderà soltanto a ripetere ciò che ha appreso, a girarlo sull'esperienza che incontra, sua e dell'altro. Discepolo sciocco di qualche maestro, non importa se autorevolissimo e famoso, si limiterà a ripeterne il pensiero in una forma imbalsamata e stantia. Non prenderà su di sè il compito e il peso di portare avanti da sè la ricerca, di misurarsi col diverso, con l'imprevedibile, col nuovo che perennemente si dà dentro se stesso e dentro l'altro. Non consegnerà analogo compito e non coltiverà nell'altro analoga capacità verso se stesso.

martedì 2 gennaio 2024

La ricerca delle cause per non cambiare nulla

Ripropongo con qualche integrazione questo mio scritto di qualche tempo fa, perché la questione della ricerca delle cause del malessere è un nodo importante da capire e da sciogliere. E' ormai un luogo comune pensare che il modo più aperto e approfondito di affrontare il malessere interiore consista nel cercare le cause che l'avrebbero provocato. In realtà c'è il rischio di costruire teoremi che non aiutano l'incontro e il dialogo con la propria interiorità, che chiudono alla comprensione di ciò che il proprio profondo, dentro e attraverso il malessere e la crisi, sta cercando di proporre e di promuovere nel proprio interesse. La ricerca delle cause e le premesse da cui parte, rischiano di confermare la separazione e l'incapacità di comunicare con la propria interiorità.                                            La reazione più comune all'emergere del disagio interiore è di considerare il malessere come un guasto, come un'anomalia, che si ritiene debba avere la sua causa in qualcosa di sfavorevole e di nocivo che avrebbe fatto danno, che avrebbe compromesso un equilibrio psicologico altrimenti normale e fisiologico. Una simile risposta al malessere interiore trova in non pochi casi sostegno e perfezionamento in percorsi psicoterapeutici che, indagando nel presente e soprattutto nel passato dell'individuo, particolarmente nelle relazioni familiari, vanno alla ricerca di condizionamenti sfavorevoli, di carenze o di distorsioni affettive, di traumi patiti, per rinvenire lì le ipotetiche cause del disagio perdurante e attuale. In realtà il malessere interiore non è conseguenza di cause e di condizioni esterne, di condizionamenti sfavorevoli, ma è espressione di iniziativa interiore. Le ragioni, intelligenti, profonde, del malessere, affatto destinate a rimanere incomprese, purché ci si voglia impegnare a capire se stessi, a dare voce e a confrontarsi con la propria interiorità, originano interiormente, sono espressione di lucida consapevolezza e di ferma presa di posizione della parte profonda di se stessi. La lettura che il profondo, che l'inconscio dà della propria condizione personale e del proprio modo di procedere non è affatto in linea col modo convenzionale e abituale di pensarli, di leggerli, modo per il quale basta veder quadrare alcune cose per dedurre che tutto va bene, che le cose sono normali, sostanzialmente a posto. Se alla parte profonda di se stessi, dove il proprio sguardo è molto più attento ed esigente, assai meno incline ad andar dietro alla logica comune e a soddisfare il bisogno di auto conferma di quanto non sia la propria parte conscia col suo modo di pensare e con i suoi ragionamenti, risultasse ad esempio chiaro che nel modo d'essere attuale manca qualcosa di fondamentale e di decisivo, questa parte non tacerebbe il problema. Se le fosse chiaro che nel modo abituale di procedere e di dare forma a ipotesi, a scelte o a impegni attuali e futuri della propria vita c'è un che di non corrispondente a se stessi, di avventato e di inconsapevole, di insoddisfacente e di pericolosamente sfavorevole, non solo per l'oggi, ma soprattutto in prospettiva per il futuro, perché non guidato da conoscenza approfondita di ciò che si è e di ciò che per sé ha senso e valore, cosa di cui sinora non ci si è più di tanto preoccupati, la parte profonda non passerebbe sotto silenzio il problema. Ecco che, tenendo presenti simili rischi e implicazioni, di cui il profondo dell'individuo, diversamente e ben prima della sua parte conscia, è consapevole, il malessere come intralcio e come freno tirato sull'andar via e avanti scioltamente, il senso di fragilità e di insicurezza, l'ansietà continua, l'allarme sulle proprie condizioni e sul proprio stato, con picchi di paura come negli attacchi di panico, lo scoramento e il senso di sfiducia  nel proprio valore e nelle proprie capacità, spesso considerati semplicemente sintomi di malattia e trattati come disturbi, come stati anomali e nocivi da correggere e da superare, cominciano viceversa a svelare il loro significato, a mostrarsi carichi di senso e di valore. Sentire intralciato il procedere solito da ansietà e insicurezza che non danno tregua, affinchè lo sguardo, abitualmente tutto rivolto all'esterno, si porti all'interno, per prendere consapevolezza del proprio stato vero, per adoperarsi a generare ciò che, a dispetto delle apparenze, non c'è e che è essenziale per dare volto proprio alla propria vita, per essere individui davvero autonomi, è una risposta interiore che ha un senso o va considerata come una anomalia, come uno stato interiore da medicare o come un disturbo cui cercare remote cause, augurandosi in questo modo di levarselo dai piedi? Sentire, fuori dalle illusioni a lungo coltivate sul valore delle proprie scelte e conquiste, il vuoto, la fragilità e l'inconsistenza della propria condizione, perché affidata più a conferme e a sostegni esterni che a fondamenti intimi e propri, perchè col proprio intimo e profondo non si è cercato e non si ha rapporto, sentire caduta di interesse verso la vita e infelice senso di sfiducia in se stessi, è un sentire, certamente doloroso, ma malato e da correggere o è specchio di verità e punto di partenza per invertire la rotta e per costruire finalmente, senza scorciatoie, qualcosa di originalmente proprio e consono, coerente col proprio intimo, ben aderente a ciò che in unità col proprio profondo va cercato e compreso? Patire il senso di minaccia e di precarietà, di paura crescente rivolto a ciò che vive dentro se stessi, da cui si è sconnessi e lontani, fino all’acme dell’attacco di panico, del terrore che la propria vita cessi, che le proprie funzioni vitali non siano più garantite, che il cuore cessi di battere, che la vita se ne vada, anche questo, che il malessere interiore può smuovere e  rendere acutamente tangibile, è segno di anomalo stato e di patologia, oppure è pungolo fortissimo a riconoscere il vero di un modo d'essere dissociato, sconnesso da sè, dal proprio intimo e tutto artificialmente adeso e in connessione con altro, un ammonimento e un richiamo potente a occuparsi di sè seriamente, a impegnarsi prima di tutto a cambiare profondamente il rapporto con la parte intima e profonda di se stessi? Tutte le risposte interiori, tutte dettate e regolate dal profondo, tutt'altro che sintomi di un meccanismo guasto, dicono, svelano, spingono a capire, a prendere consapevolezza. Non si tratta di trovare cause esterne al malessere, partendo dall'assunto che stare male significa guasto e stato anomalo provocato da qualche fattore molesto e disturbante, ma di intendere che il malessere può essere un forte richiamo, lo specchio per vedere la propria condizione in profondità e non nella ingannevole superficie, la spia di una necessità cui finora non si è saputo provvedere. E' la necessità, irrinunciabile secondo la parte profonda di se stessi, di promuovere la propria crescita, la formazione di un proprio pensiero attorno a se stessi, lo sviluppo di una capacità di capirsi non dissociata nel ragionamento, ma costruita in unità con se stessi, fondata e guidata dal proprio sentire. E' fondamentale e non certo superfluo trovare ciò che affidabile e coerente con se stessi possa guidare, autonomamente e consapevolmente, il proprio cammino, le proprie scelte, pena il rischio diversamente di affidarsi pericolosamente solo a guide e a conferme esterne. Lo stato di separazione in casa, nello spazio del proprio essere, tra ciò che si pensa da un lato e ciò che si sente e che si vive interiormente dall'altro, va superata e messa ben al centro del proprio sguardo e preoccupazione. L'inconscio spesso sottolinea proprio questo stato di separazione e di dissociazione, lo fa parlandone con grande acume nei sogni, lo fa rendendo tangibile, acutamente vissuta la situazione di contrasto e di non incontro tra vicenda intima e parte conscia e ragionante, che mal tollera e vive come estranea e ostile, minacciosa e sgradita l'esperienza interiore sofferta e disagevole, a cui fa muro chiedendo e rivendicando altro. Le vicende interiori spesso non sono comprese, sono ampiamente fraintese dalla logica corrente, secondo cui tutto dovrebbe funzionare "normalmente" e l'ansia e ogni segnale interiore che crei impaccio nel procedere solito, che impegni ad andare verso se stessi, a mettere al centro dell'attenzione e della preoccupazione se stessi e non il fare e il proseguire come se niente fosse e come se tutto fosse a posto, sarebbe soltanto una anomalia, un disturbo, un maledetto ostacolo. Dandoci dentro con farmaci e con rimedi vari, con psicoterapie intese come correzione di comportamenti o, come dicevo all'inizio, come ricerca di cause funeste fuori di sè in qualcosa di presente o di passato, pur di togliersi di dosso un che di sofferto e di interiormente difficile, non si comprende che il proprio malessere è frutto e segno di iniziativa propria e profonda per trarsi in salvo e non per far danno. Quanta miopia e ottusità purtroppo nel pensare che tutto debba funzionare "normalmente", senza mai chiedersi come davvero le cose stanno andando, non all'apparenza, ma nella sostanza, senza mai concedere ascolto a se stessi, al proprio sentire, senza mai concepire che ci si debba capire seriamente e in profondità, che ci si debba confrontare e intendere con ciò che dentro se stessi dà segnali insistiti, che nessun rimedio farmacologico o di altro tipo può mettere a tacere! E' significativo che chi si è adoperato, casomai attraverso una psicoterapia, a cercare le cause di ciò che difficile e sofferto sperimenta interiormente in vicende passate e in condizionamenti sfavorevoli, in traumi pregressi, si ritrovi spesso a dire a se stesso che finalmente oggi conosce le cause del suo malessere e contemporaneamente a percepire la propria estraneità e lontananza perdurante dal proprio intimo, l'incapacità di entrare in rapporto vero e aperto con ciò che sente, che non smette di insistere e di battere duro, di chiedere vera udienza, accoglienza e ascolto. La parte profonda non desiste, non sa che farsene di spiegazioni ragionate, spesso viziate da vittimismo, come se soffrire fosse sempre l'equivalente e la conseguenza dell'aver subito o del subire un che di ostile e di ingiusto, spiegazioni che non colgono il senso della sua proposta e iniziativa. La parte profonda non agita le acque insensatamente, per deficit di ragionevolezza, non le agita puerilmente dando respiro solo a paura, a irresponsabilità e a incapacità di procedere e di fare, non le agita perché ancora disturbata o traumatizzata da accadimenti passati o con l'intento di riportarli in qualche modo in superficie. Si abusa di questi che ormai sono diventati dei luoghi comuni, ben presenti nel pensato comune, nei discorsi correnti, nei film, nelle teorie e spiegazioni portate da non pochi presunti esperti della psiche, luoghi comuni e ricorrenti che intervengono a suffragio di un atteggiamento di fondo verso se stessi conservativo e vittimistico. La parte profonda agita le acque con lucidità e determinazione, sorretta da capacità di visione che la parte conscia non possiede, troppo passiva e assuefatta al pensare convenzionale, troppo incline a darsi ragione e a rincorrere la normalità, le agita per "inquietare" a ragion veduta, perché in gioco c'è il rischio di condurre la propria vita in modo banale e inconsapevole, secondo guide prese in prestito e non trovate in se stessi, con la conseguenza di andare a sbattere nel tempo nell'inutilità o nel fallimento. Che insorga malessere è segno più spesso di quanto non si creda di vitalità interiore, di presenza vigile della propria parte profonda, di potente richiamo a far le cose per tempo, a provvedere a coltivare e a formare ciò che non c'è e che l'età anagrafica da sola non garantisce: prima di tutto l'unità con se stessi, perché solo l'incontro e il dialogo con la propria interiorità può dare e sviluppare la forza di un pensiero proprio, la conoscenza senza veli e distorsioni di chi si è, la scoperta di ciò che ha valore per sé, che profondamente si ama e cui si aspira, per non destinare a altro la propria vita, per non infilarla sui binari delle idee e dei modelli imperanti, delle soluzioni già pronte. Quando, come accade in una buona esperienza analitica, si dà voce al proprio profondo, quando, anziché parlargli sopra e cercargli delle cause, si impara a ascoltare il proprio sentire in ciò che dice, quando si segue il percorso conoscitivo tracciato dai sogni, si ha modo di scoprire quali siano le vere intenzioni dell’inconscio, si ha occasione di comprendere il senso e di apprezzare il valore della propria esperienza interiore in tutte le sue espressioni, anche in quelle che sembravano negative e fortemente sfavorevoli. L'inconscio sa dare e nutrire la propria crescita personale come nient'altro saprebbe fare. E' necessario allora scegliere se imparare, facendosi aiutare a questo scopo, ad ascoltare il proprio sentire, a comprendere e a assecondare la proposta interiore, accettando un serio lavoro su se stessi e nutrendosi dei frutti di questo lavoro di cui il proprio inconscio sa e vuole essere promotore e guida o insistere nei tentativi di contrastare in vario modo il malessere, anche confezionandogli sopra spiegazioni di cause che vorrebbero, ingenuamente, metterlo a tacere, spiegazioni sterili, utili solo a uno scopo: tirare avanti dritto nel solito modo scisso da sé, dalla propria interiorità e aderente ad altro, senza cambiare nulla.

martedì 26 dicembre 2023

L'insicurezza

E' spesso oggetto di preoccupazione, è vista come un deficit cui trovare possibilmente pronto rimedio. Si pensa che sia non solo augurabile ma anche normale non averne. L'insicurezza fa invocare subito il possesso del suo opposto, di una determinazione, di una fiducia in se stessi salda e prima ancora di una capacità di scelta senza tanti tentennamenti o difficoltà di capire e definire l'obiettivo da perseguire, la cosa da fare. Si vorrebbe essere operativi nel modo più efficace, si vorrebbe essere assistiti e sostenuti da dentro da ben altro che da ciò che pare solo un equipaggiamento interiore scarso e scadente. Si vogliono dettare le regole al proprio intimo, facendo appello alla presunta normalità, portando a sè l'esempio degli altri che parrebbero ben più sicuri. Ci si strugge, ci si spazientisce, ci si lagna per la malasorte di essere infelicemente combinati. Si recrimina, si vanno a cercare le cause e le responsabilità di chi non ha favorito, incoraggiato, alimentato la fiducia in se stessi, di chi anzi l'ha osteggiata, minata, compromessa, di chi non ha dato esempio di approccio fiducioso e saldo  all'esperienza e ha messo in campo troppi timori di sbagliare, di chi viceversa ha imposto un modello inarrivabile o esclusivo, che al confronto non si poteva che sentirsi e vedersi inadeguati, incapaci, perdenti. Tutto si cerca di spiegare pur di contrastare seccamente quel proprio modo d'essere che pare solo una dotazione sbagliata e fallimentare. L'educazione ricevuta è il principale imputato. Sempre a vedersene oggetto di questa benedetta o maledetta educazione e mai soggetto possibile, in grado di scoprire da sè cosa significa questo e quello, cosa valgono davvero e perchè, valendosi del proprio sguardo, trovando da sè risposte, fornendo a se stessi criteri di valutazione e guide, nutrendo da sè la propria crescita, la propria capacità di condursi. Entriamo così nel merito dell'insicurezza, segnale onesto e attendibile di ciò che abbiamo portato autonomamente a maturazione, senza farcelo dire e dare. E' il termometro della autonomia sviluppata, coltivata, fatta crescere. Non solo, ma così stupida e da prendere a calci l'insicurezza non è, se segnala che prima dell'agire c'è il pensare, il veder chiaro, il tener conto della necessità di orientarsi, di sintonizzarsi con le incognite presenti, perchè non c'è mai nell'esperienza nulla di scontato se non nella testa che si intestardisce della presunzione di sapere già. Vanno cercate ogni volta le basi di intesa con se stessi, va rispettata e onorata la necessità di comprendere le ragioni di ogni scelta, le implicazioni presenti, i perchè di ciò che si cerca e che si vorrebbe perseguire. La sicurezza come dispositivo e modo di funzionare a pronto uso, a prescindere e senza tener conto delle necessità che ho detto, è una pretesa discutibile, da fare oggetto di attenta e proficua riflessione. Oggi le tecniche per allenare e irrobustire la forza di determinazione, la fiducia in se stessi promettendo di fare il proprio bene e di procurare il proprio vantaggio di riuscita, tecniche del rendimento e della prestazione, hanno sempre più largo mercato. Discendono da una mentalità e da una visione dell'uomo appiattito e risolto nella meccanica della prestazione, ridotti il suo desiderio e passione alla brama di riuscita, dove la riuscita segue la traiettoria del successo. L'insicurezza dunque è un valido punto di partenza per cercare da sè ciò che si vuole favorire, se la corsa gregaria a inseguire la presunta normalità e il beneficio della riuscita comunemente celebrata come tale o se la propria ricerca di ciò che vale in stretto legame e accordo con se stessi, con la propria interiorità. E' la propria interiorità, è il proprio profondo che onestamente e saggiamente mette in campo l'insicurezza per segnalare il punto critico e nodale su cui riflettere e lavorare, per non perdere la testa, per riconsegnarsi il compito di capire ciò che va garantito e cercato per tutelare e favorire la propria crescita e realizzazione vera. La sicurezza può essere frutto di attento lavoro su stessi. Se non si coltiva il proprio terreno non c'è sicurezza che abbia fondamento valido e senso, radice viva e scopo corrispondente a se stessi, a ciò di cui si è portatori singolarmente, che profondamente si ama, c'è solo emulazione e ricerca affannosa quanto ingenua della buona prova, della bella figura.

domenica 24 dicembre 2023

Le ombre del passato

Si dice spesso che le ombre del passato oscurano il presente, che lo rendono difficile, compromettendo il proprio stato interiore con disagi e pene non sopite. Il proprio passato può aver lasciato sospese molte cose in realtà. Anche se il sentire di oggi non è, come si ama credere e far credere, eco e conseguenza di accidenti passati, di esperienze dolorose, responsabili di continuare a provocare risposte interiori anomale e una scia di malessere nel presente, è vero che ciò che non si è portato a consapevolezza ha lasciato intatti nodi e questioni, che oggi si ripropongono. Non c'è da vittimizzarsi, da considerarsi dentro il proprio disagio come parte lesa di torti, di influenze negative, di inadempienze altrui, di traumi patiti. C'è viceversa da considerare quanto per proprie scelte, per propri modi di procedere, che hanno privilegiato la rincorsa e l'adeguamento a modelli e a modalità comuni e prevalenti, non accompagnati o non seguiti da impegno riflessivo, da ricerca di senso e di verità senza veli, hanno contribuito a rendere sterile e infruttuosa la propria esperienza, non resa occasione di presa di coscienza,  ma manipolata con spiegazioni e lavorio, più o meno tanto, del ragionamento, affinché non desse incomodo, l'incomodo della verità, rimasta in ombra. Ecco le ombre che non danno quiete e agio, che chiedono di essere finalmente rischiarate, che mettono in conto oggi al proprio presente un lavoro da fare finalmente per non essere ignari di se stessi e per non procedere oltre in uno stato di inconsapevolezza, di inautenticità per omogeneità e privilegio dell'accordo con gli altri e con l'esterno rispetto alla vicinanza e all'intesa col proprio intimo e profondo. Nulla del passato pesa di più del mancato lavoro su se stessi, della fuga dall'intimo, dal sentire che da sempre dice, nulla pesa di più della mancata unità dialogica con la propria interiorità, che da sempre non tace, che interroga, che coinvolge dando nel vivo le basi per incontrare il vero di se stessi, nulla pesa di più del costruire pensieri e idee che, confezionate a mezz'aria e nell'orbita delle attribuzioni di significato prese in prestito e preconcette, valgono solo a tappare le falle, a confermare quanto si ama credere di se stessi e a rinsaldare la continuità di un procedere senza verifiche attente e approfondite, sincere e senza trucchi. Pensare che il disagio che si fa sentire nel presente sia la conseguenza di qualche torto o pecca o infortunio patito e messo in conto a altro e a altri, genitori e simili, è una grossa ingenuità, è soprattutto una risposta di comodo e confermativa della volontà di proseguire senza aprire riflessione su di sè, è volontà di essere lasciati in pace, è richiesta impudica di essere risarciti piuttosto che ben più degna, onesta e matura ammissione di essere in debito con se stessi. Debito di ricerca di verità e di lavoro serio su se stessi per una crescita vera e non d'immagine e fasulla. La proposta del sentire in qualsiasi forma si presenti non è mai automatica conseguenza di questo o di quell’altro, è sempre richiamo intelligente, definisce sempre il terreno vivo su cui ritrovarsi, su cui interrogarsi, su cui lavorare momento dopo momento. Il sentire di oggi, anche nella sua forma sofferta e disagevole, non è un’anomalia che trae origine da qualche distorsione o guasto che si è prodotto nel passato, è viceversa spunto e richiamo che ha forza e capacità, se ascoltato e ben inteso, di promuovere nel presente una presa di coscienza decisiva, un punto di partenza per capire se stessi e il proprio stato. Le tesi che fanno del sentire, quando difficile e sofferto, un’alterazione, un guasto risultato e conseguenza di una causa passata, non riconoscono il carattere, la natura propositiva, carica di sottile e matura intelligenza, dell’esperienza interiore di cui il profondo è ispiratore e regolatore. Si continua a concentrare tutte le attese e le pretese di capacità e di affidabilità sulla parte conscia, considerando il resto una appendice meno evoluta, registro passivo di esperienze vissute, luogo di scarico di tensioni e di patimenti, motore di reazioni elementari che non sottostanno alle regole del discernimento, per presunta mancanza da parte della componente interiore e profonda dei requisiti di intelligenza e di affidabilità pregiudizialmente e assai generosamente riservati e riconosciuti alla parte conscia. L’esperienza analitica, quando ben fatta, consente di scoprire quanto valga davvero, per prova provata e non per pregiudizio, l’iniziativa e la proposta del profondo. L’inconscio dà prova di essere la salvezza dal rischio dell’inconsapevolezza, della traduzione in omologazione della propria vita. L’inconscio si rivela essere promotore e leva insostituibile del recupero a sé delle proprie vere ragioni d’esistenza, della capacità di pensiero originalmente proprio, che non fa il verso a nulla di appreso e studiato, ma che scaturisce da esercizio del proprio sguardo ben calato nell’esperienza, ben orientato dai propri vissuti. Nulla interiormente accade senza un perché di ricerca e uno scopo di crescita personale. Non ci sono ombre del passato che non siano punti di ricerca toccati nel proprio cammino d’esperienza e non approfonditi, che comunque nell’oggi trovano occasione di essere recuperati in un movimento di ricerca di verità, che è la ragione di vita del profondo, che in questo movimento vuole contagiare e coinvolgere l’intero essere. La sofferenza interiore ha questo scopo, vuole e può essere il punto di incontro di ognuno con la profondità del proprio essere e da lì, in stretto legame col profondo, l’inizio di un percorso di rinascita, di rinascita dal profondo di se stessi.

mercoledì 13 dicembre 2023

Lo scudo

Di quante cose ci si fa scudo per difendere ciò che di se stessi non si vuole mettere in discussione! La critica che proviene dall'esterno può lasciare il tempo che trova. Se infatti a volte, direi raramente, è disinteressata e ben mirata, capace di toccare in modo appropriato punti nodali, di non essere giudicante, ma di stimolo alla riflessione, spesso invece non è libera da interessi di parte e di comodo di chi la pronuncia, conforme e di conferma al suo modo di pensare, perciò inattendibile come valenza critica, di fatto del tutto arbitraria. Altra cosa è la critica che proviene dall'interno, messa in atto dal proprio profondo. Purtroppo, visto il poco credito dato a tutto ciò che si sperimenta nell'intimo, nel sentire, nelle emozioni, negli stati d'animo, nelle spinte che si provano, considerati se non totalmente inaffidabili perlomeno non attendibili come intelligenza, in genere definiti viscerali, irrazionali, aggettivi usati come sinonimi di movimenti incontrollati, istintivi poco o tanto ciechi, privi delle capacità viceversa attribuite al pensiero razionale, che, a mente fredda, saprebbe garantire visione lucida, con queste premesse tutto ciò che accade nell'intimo non è compreso e valorizzato in ciò che dice, adeguatamente stimato nella funzione e nella capacità di critica, sempre diretta alla ricerca del vero, che sa e che vuole esercitare sulla propria esperienza e modalità di procedere. La critica che origina dall'interno dunque spesso non è riconosciuta come tale, oppure, quando si avverte che ciò che si frappone nell'intimo, sollecita dubbi, apre qualche crepa nelle proprie convinzioni, in ciò che si vuole credere e che ci si dice, è facilmente sminuita, messa in ombra o neutralizzata con qualche giro di ragionamento. E' un peccato, è una perdita non da poco, perchè è la sola critica che vale veramente, perchè affidabile, puntuale, intelligente, assolutamente priva di preconcetti e di arbitrarietà, così come di malanimo e di distruttività, viceversa risorsa preziosa e essenziale per la propria crescita. Proviene da una parte di se stessi che conosce al meglio e nell'intimo ciò che si è, che muove le proprie scelte, che è insito nei propri modi, ciò che li detta e che perseguono. Niente e nessuno ci conosce come il nostro profondo, che è presenza attenta in ogni momento del nostro procedere, della nostra esperienza. Non solo, la critica, gli spunti di riflessione e di ricerca offerti dal proprio intimo nascono da una capacità di visione che tiene conto non solo dell'immediato dell'esperienza, ma di una condizione di insieme, di un modo di procedere, di un assetto del proprio modo di stare in rapporto con gli altri e, che è l'aspetto più trascurato, con se stessi, che la parte profonda spinge a rendere riconoscibile, per comprenderne le ragioni, per averne più chiare le conseguenze e gli sviluppi. E' una critica che vuole portare alla presa di visione della verità, mettendo in crisi e in discussione convincimenti di comodo, alibi o vere e proprie mistificazioni costruite col ragionamento, che valgono a difendere e a ribadire idee su se stessi e convinzioni funzionali solo a proseguire sulle basi consuete. Nel corso dell'esperienza il sentire, ciò che interiormente si muove, interviene per aprire spazi di riflessione, per dare spunti di ricerca e di approfondimento, che spesso sono tenuti in secondo piano, non sono raccolti o che, se fatti oggetto di considerazione, sono distorti nel loro significato, piegati nell'interpretazione applicata col ragionamento a dare solo convalida, a sostenere e a consolidare idee su se stessi e sui propri propositi, che non si vogliono mettere in discussione. L'orizzonte, l'idea di ciò che va perseguito rimane quello predefinito e che va a senso unico nel verso di una rincorsa dell'adeguamento ai criteri di valore e di normalità vigenti, per non rimanere indietro, per non perdere occasioni di buona riuscita e prestazione, per non compromettere legami dentro cui c'è più l'istanza di tenere assieme ciò che conviene, che ci si vuole tenere stretto e fruibile, che desiderio di verità, che desiderio di offrire a sè e all'altro sincera presenza, anche perchè di sè non si è ancora compreso nulla di vero, di attendibile. Non ci si è spesi per questo scopo, l'interesse prioritario è stato e continua a essere la riuscita, il mantenimento di posizione, anche perchè l'affaccio sulla verità pare azzardato, persino temuto. Pseudo verità di volta in volta rabberciate col ragionamento, in qualche modo rafforzate tengono banco e, un pò per inerzia e un pò per spregiudicata convenienza, le si tiene in auge. Lo scudo entra in opera e pare essere valida difesa dei propri interessi. L'inconscio, il proprio inconscio, è l'unica presenza discorde, che non si accorda col disegno di tenere su e di far valere l'ignoranza del vero. La verità richiede coraggio, vuole passione nuova, passione di conoscenza, di ricerca di intesa profonda con se stessi e non di conservazione. Dal sentire arrivano le note discordanti, le sensazioni inattese, gli imbarazzi, le esitazioni e gli impacci, le strane note di umore imprevisto, l'ansietà improvvisa, la caduta di interesse, la fiducia in se stessi che scricchiola e declina, note tanto sgradite quanto sapienti, tutt'altro che insensate o negative, note discordanti rispetto a ciò che si vorrebbe credere e ottenere, che cercano nuovo accordo all'insegna di guardare con più attenzione dentro l'esperienza, di mettersi allo specchio, di conoscersi  in modo trasparente, di comprendere non la superficie ingannevole, ma il nucleo vero delle proprie scelte e espressioni, per mettere in luce ai propri occhi il proprio modo di procedere, ciò che lo determina, la direzione in cui porta. Nei sogni l'inconscio si spende al meglio per dare impulso e per fornire guide per capire in profondità se stessi, per comprendere ciò che è in atto nel proprio modo di procedere e ciò che va costruito per non essere passivi a rimorchio di pensiero, di attribuzioni di significato e di valore, di perseguimento di scopi già definiti e imperanti, per mettere al primo posto e per compiere passi nuovi nella ricerca e nella presa di visione del vero, nella scoperta di ciò che è autenticamente e originalmente proprio. Nuove scoperte quelle guidate dall'inconscio nei sogni di tutt'altro peso e valore rispetto a quanto prodotto e messo in campo dal proprio pensiero abituale di cui cominciano a evidenziarsi i vuoti di comprensione vera e fondata, gli artifici e le costruzioni di comodo, pensiero razionale di cui ci è sempre valsi e che, a dispetto del credito che gli è stato dato come garante della propria capacità di capire e di condursi, si scopre, non senza difficoltà di ammissione, aver garantito a se stessi in realtà solo il proprio stare al di qua del vero. La critica che proviene da dentro se stessi purtroppo è spesso ignorata. Anche se non manca in molti la percezione della fragilità dei propri convincimenti, della loro inattendibilità, della necessità di una conoscenza più approfondita  e fondata di se stessi, il rinvio e il riaccredito dato a ciò che è abituale continua a prevalere, per non perdere posizione, per non darsi un incomodo di scoperta di verità, che pare così impegnativo, che non dà garanzie di quieto vivere e procedere. Non deve stupire se l'inconscio fa allora ricorso, come in non pochi casi accade, a soluzioni più incisive. Il malessere, l'esperienza interiore tribolata e sofferta vuole allora esercitare un forte richiamo a guardare dentro se stessi, vuole creare terreno interiore vivo, di più forte presa, su cui stare, da cui non evadere facilmente, dentro cui riconoscere la necessità di occuparsi di se stessi, di capirsi, di conoscersi, di vedere chiaro. E' un invito, una pressione decisa del profondo che a volte trova ascolto e felice corrispondenza, che in non pochi casi invece non incontra la disponibilità a desistere dal proposito di tirar dritto e di tornare a imbracciare lo scudo di autodifesa, che dice che nulla va messo in pericolo e in discussione, che il malessere va debellato e messo possibilmente a tacere, autodifesa che in realtà rischia di garantire e tutelare soltanto la propria lontananza da se stessi. 

domenica 3 dicembre 2023

La grande seduzione

Quanto è seducente affermarsi e ben figurare agli occhi degli altri, riscuotere apprezzamento, riconoscimento di valere! E' tale l'entusiasmo che suscita che è completamente omesso, non visto, nemmeno messo in possibile conto, che tutto questo credito di valore personale sta in piedi solo a condizione di offrire al palato altrui ciò che piace, che gli è gradito e che, a sua volta, sta nel gusto così come nella testa altrui a partire da un ossequio e dal dare passivo seguito a stime e a giudizi di valore  presi in prestito da senso comune e dati per scontati. Un circolo vizioso, dove ciò che circola appunto è solo il consenso, il mancato pensiero proprio, fondato su esperienza, riflessione e scoperta autonoma di significati e comprensione di ciò che vale, vedendone con i propri occhi il fondamento, il suo perchè. Basta davvero poco per rendersi contenti e persuasi che il riciclo di preconcetti belli e buoni sia moneta spendibile preziosa, affidabile. Capita così che una parte tanto scomoda di se stessi quanto intelligente e saggia, tanto impertinente quanto appassionata alla verità, che sola può spingere e guidare a rendersi liberi e cresciuti, non dia manforte alla celebrazioni degli allori, che viceversa ci metta lo zampino per rendere tangibile che l'edificio del successo, dell'autoaffermazione nei modi e sulle basi dette prima, non sta su, che se sta su lo fa solo poggiando su basi di ingenuità e di credulità imbarazzanti quando viste da vicino e lucidamente. Non aprire gli occhi implica portarsi dietro l'idea che la propria vita stia realizzandosi, quando tutto si regge su conferme esterne a loro volta tutt'altro che intelligenti e fondate su capacità autonoma di giudizio. L'inconscio, la parte che diverge e non dà manforte, è spesso la sola parte dell'individuo che ha intenzione e capacità di vedere oltre la patina bella fatta di illusioni, è la sola parte dell'essere che non dà tregua, che cerca di aprire falle, di dare spunti per capire, per aprire gli occhi finalmente. L'inconscio è il guastafeste che nello svolgersi dell'esperienza mette ostacoli, che a volte mette il freno, l'intralcio di una ben sgradita ansietà, di un impappinamento, di una amnesia improvvisi, di un malumore inaspettato, di una caduta di interesse e di entusiasmo che paiono incomprensibili, di un imbarazzo improvviso che sotto lo sguardo esaminante altrui pare il peggio da mostrare. L'inconscio fa vedere da un lato quanto quello sguardo altrui, così cercato e ben gradito quando applaude, è così tanto temuto quando rischia di decretare l'insuccesso, la magra figura e dall'altro, non solidarizzando e anzi mettendo intralci e freni alla foga della buona riuscita, vuol far capire che c'è qualcosa che conta di più della buona o perfetta riuscita. Cosa può valere di più?  L'inconscio non ha dubbi, ciò che vale e che è all'altezza dell'essere individui, dell'essere umani compiuti, è prima di tutto aprire gli occhi, primo passo, tanto importante quanto impegnativo e anche non immediatamente piacevole, per prendere visione della condizione dipendente, pur ben addobbata e travestita da capacità di autoaffermazione, in cui ci si è incastrati, una condizione, tutt'altro che matura e di cui compiacersi, come di bravi bambini impegnati a recitare bene e a produrre ciò che vale per meritarsi il ben volere e l'apprezzamento altrui. Lo scopo che ha in testa e in animo l'inconscio è di rendere ben visibile all'individuo il rischio di vendersi, casomai fino al termine del suo cammino di vita, eventualità non così remota, all'illusione di una vita ben spesa e realizzata prestando fede e facendo conto su ciò che altri e il pensiero comune considerano valere, per aprire la strada invece alla scoperta del significato, del fascino e della validità di una vita spesa per sviluppare pensiero proprio e autonomo, per far vivere ciò che, in unità col proprio profondo, si è riconosciuto da sè e con i propri occhi come valore da difendere e da realizzare.

sabato 25 novembre 2023

Alla radice della possessività

Si parla in questi giorni un gran tanto di cause che starebbero all'origine di legami uomo donna caratterizzati da preteso possesso e dominio dell'uomo sulla donna, fino all'estremo della violenza e della soppressione della vita di lei. Ogni storia di relazione è singolare, come è singolare la vicenda personale di ognuno, ma si insiste,  probabilmente per fornire a se stessi la persuasione di disporre di ampia capacità di critica e di comprensione, in non pochi casi per affermare buoni principi che consentano di  apparire, in contrapposizione ad altri, come virtuosi e senza macchia, nel parlare di incidenza del fattore mentalità, del peso, ritenuto rilevante e decisivo, di condizionamenti culturali e di modelli di tipo patriarcale ad esempio, che indurrebbero nel maschio senso di superiorità e di maggior diritto e che inchioderebbero la donna al ruolo subalterno. Ancora, si parla di necessità di educazione ai sentimenti che non siano di possessività, di pretesa superiorità e di dominio, che portino a una visione diversa dell'altro, per fondare una diversa mentalità e costume. Insomma pare che tutto nei modi di vivere i rapporti possa cambiare combattendo cattivi principi, diffondendo invece e educando a idee, a modelli, a principi di valore capaci di sradicare quella pretesa maschile di dominare e di disporre della vita altrui, di pensare la donna come subalterna o inferiore o destinata quasi per vocazione naturale a soddisfare, a sottostare a pretese di controllo, di dominio, persino di appartenenza. Si vorrebbero educare in primo luogo i ragazzi, i giovani a sentimenti di altra natura all'insegna del rispetto, dell'attenzione, del considerare l'altro, particolarmente l'altra, non come oggetto d'uso e che assecondi le proprie attese e pretese, ma come valore di individuo da conoscere e riconoscere come degno di attenzione, di considerazione, di rispetto, di stima, la cui libertà va riconosciuta come valore invalicabile. Tutto giusto e lodevole nelle intenzioni, ma le radici della possessività non sono legate solo a condizionamenti culturali, a cattivi modelli e principi o a scarsa educazione sentimentale e alla relazione, che affermi e dia risalto all'idea che il rapporto umanamente valido e giusto è quello aperto e rispettoso e non quello di presa e di preteso possesso sull'altra, idea e principio alla base della possibile degenerazione dell'esercizio della sopraffazione, dell'abuso, della violenza. Quando l'individuo non è veramente completo e capace di autonomia, non quella delle apparenze e dell'apparire, della capacità di fare, che illudono che l'autonomia sia garantita, ma quella vera di chi ha saputo sviluppare la capacità di ascoltarsi e di non fuggire da se stesso, dal proprio sentire, anche quando difficile, la capacità di trovare vicinanza con se stesso e comprensione intima dei significati veri dentro la propria esperienza, cercando senza veli e senza sconti la verità di se stesso, arrivando così a vedere con i propri occhi e in unità con se stesso, senza andar dietro a suggerimenti e a guide esterne, senza sostegno di convalide e apprezzamenti esterni, ciò che vale e che dà gioia e pienezza, passione e forza di persuasione, ebbene in queste condizioni di mancata autonomia e completezza di crescita personale, che richiede impegno e esercizio di responsabilità propria per essere conquistata, a colmare il vuoto di crescita, di sviluppo, cui non si è provveduto e cui non si intende provvedere, chiedendo a se stessi e non aspettandosi da altro,  la tendenza, tutt'altro che rara, è di cercare in altro, attraverso altri ciò che interiormente manca e che non è stato coltivato e fatto vivere. La presa va su un sostituto verosimilmente analogo, che sembra fatto apposta, in realtà un succedaneo rispetto a ciò che potrebbe formarsi di proprio, che comunque pare capace o destinato a garantire quel bene vitale mancante, capace di dare riempimento e soddisfacimento, di garantire un completamento. L’effetto, che passa ai propri occhi volentieri inosservato, è di bloccare in questo modo qualsiasi processo di ricerca e di crescita personale, che giustamente e per natura sarebbe affidato a sè e di cui peraltro la parte profonda del proprio essere è anima, è fautrice e matrice essenziale (tant’è che spesso con i segnali di malessere, che produce interiormente, fa sentire l’insostenibilità di un modo di essere e di procedere così parziale e mal fondato), che richiede conquiste di consapevolezza, scoperte, verifiche e cambiamenti interni impegnativi e necessari. Il legame dipendente a pronto uso apre una scorciatoia, sostituisce il vero processo di crescita che richiede lavoro su di sè, impegno e tempo. Tende a un simile legame dipendente il maschio, spesso mancante di accesso all'intimo, di creazione di intimità con se stesso, di capacità di ascolto e di comprensione intima di se stesso, di calore di vicinanza, di scambio e di condivisione con la propria interiorità, che vede nella donna l'occasione per portare a sè, per includere nella propria vita e in modo stretto e vincolante ciò che gli manca per essere individuo vero, individuo intero e completo, autonomo, indipendente. La dipendenza, la presa su altro che dia il sostituto di ciò di cui si manca e della cui ricerca e crescita non si riserva a sè il compito, non è, come dicevo, modalità così rara e i rapporti interpersonali sono spesso di interdipendenza. I due reciprocamente mettono per così dire le mani l'uno sull'altro per portare a sè ciò che desistono dal riservare a sè come ricerca e costruzione vera e ben fondata, come esigenza di sviluppo umano, come scoperta e conquista da coltivare e far crescere dentro se stessi e in modo autonomo. Lo stesso rapporto dell'individuo con l'insieme, con la cosiddetta realtà che sta attorno è spesso di natura dipendente dove si concede a modalità consolidate, a soluzioni e percorsi  già ben definiti e organizzati, a pensiero e a esempio comune di essere guida e veicolo per istruire il proprio pensiero, per indirizzare la propria vita, per deciderne i modi, le tappe, i traguardi, gli sviluppi, tutto in vece, in sostituzione della ricerca di formazione di una propria capacità di guida autonoma, di vero autogoverno. Nel rapporto di coppia il legame interdipendente trova grande opportunità di compiersi, di svolgere la funzione di dare pseudo completamento ai due, non lavorando ognuno su di sè, ma prendendo dall'altro. Allora i vuoti, le lacune di crescita, le pseudo conquiste, di facciata e in realtà inconsistenti, hanno modo di trovare una sorta di riempimento e di assestamento, il mutuo soccorso e la comune ideologia dell'unione e dell'amore (quale amore è possibile nella dipendenza?)  fa sì che la coppia trovi e garantisca ai due una promessa di idilliaco compenso e assestamento. La visione che propongo e che cerca il vero oltre la superficie e il recinto della retorica dei sentimenti, ovviamente non coincide con la lettura convenzionale che esalta il sentimento, l'innamoramento o altro come spiegazione di ciò che i due mettono assieme e cui danno compimento nella loro storia e nel legame che vanno a instaurare. Ciò che accade e non di rado è che l'uomo che, come già dicevo, è in non pochi casi spiazzato e lontano rispetto all'intimo della propria esistenza, a ciò che vive dentro se stesso, povero di familiarità e di capacità di rapporto col suo sentire, di dialogo intimo e caldo, di conoscenza vera di sè non rattoppata e costruita razionalmente e in astratto, abituato a gestire e a dare prova di prestanza nel ragionare, a cercare la prova del proprio valore nell'operare e risolvere su piano concreto e del fare, del primeggiare come prestanza di testa e di capacità di successo concreto, porti in sè disattesa una necessità fondamentale, una mancanza non di poco conto, dentro una condizione complessiva che, fatte salve le illusioni, non è certo di individuo autentico e completo. Non è insolito che, dove non riconosca la necessità di una profonda revisione del proprio stato, di un lavoro su se stesso per colmare quei vuoti, cosa non frequente, la spinta dell'uomo sia di percorrere la scorciatoia di cercare la fonte di calore, di gioia, di un che di amorevole che lo sorregga, che gli dia conferma e rassicurazione in una forma più intima, che gli dia vicinanza,  nella donna, che pare potergli rappresentare e dare simili risorse cui attingere, da portare a sè. Dall'altra parte la donna, che parrebbe più vicina alla dimensione intima del sentire e degli affetti, ma che non è affatto detto che con questi abbia un rapporto sincero e rispettoso e non strumentale, lei stessa spesso in fuga dal suo sentire vero, soprattutto se difficile e sofferto e lontana dall’aver sviluppato capacità di ascolto e di dialogo con la sua interiorità, ha dalla sua la difficoltà di trovare risposte alla necessità di prendere in mano fino in fondo la propria vita, di trovare, di generare e di riconoscere da sè il proprio valore, di tenere ben salda nelle proprie mani la guida della propria vita senza appoggi, rassicurazioni o garanzie prese da altri come da un uomo, che, dove le offra valorizzazione come oggetto di desiderio, di predilezione, di investimento di interesse e di ricerca di legame, parrebbe offrirle un grosso alimento alla propria autostima, oltre che la garanzia di dare più salda e garantita realizzazione o sistemazione alla propria vita, perlomeno secondo i canoni e i modelli di realizzazione più diffusi e vigenti. Il rapporto uomo donna, che oggi è oggetto di tanto dibattito, si forma, prende avvio spesso all'insegna della disattenzione a conoscersi veramente e in profondità e dell'equivoco reciprocamente messi in campo, perchè la istanza e la modalità dipendente, non riconosciute come tali, ben camuffate e equivocate dalla lettura retorica dei sentimenti, lavorano proprio per rendere possibile quell'unione di reciproco interesse a stabilizzare e a completare seppur in modo surrettizio, oltre che fragile e posticcio, la propria vita. Le sorprese sono di conseguenza dietro l'angolo e chi nella fase del cosiddetto innamoramento appariva questo l'indomani si rivela essere quello, sempre più simile a un individuo che di sentimento vero non ne ha proprio per nulla, ma che pretende solo attaccamento e esercita presa dipendente con tutti i risvolti anche degeneri del caso. Preso e portato a sè come bene essenziale dall'altra persona ciò che non è stato sviluppato dentro di sè, ecco che l'altra diventa come proprietà da cui non ci si può, ma soprattutto non ci si vuole separare, che, in quel vissuto di appartenenza a sè, non ha diritto di vita e di espressione propria, di andarsene se lo crede. Prendere da fuori ciò che non ci si è dati da sè, come invece sarebbe naturale, necessario e valido impegnarsi a fare, prendere da un altro essere e caricarlo della funzione e della capacità di offrire ciò di cui si ha vitale necessità, fa sì che chi ha supplito alla mancanza diventi, sia vissuto come parte di sè essenziale, in assenza della quale si profila la disperazione di perdere qualcosa di vitale, che si accompagna all'accendersi fino all'esplosione di un sentimento di rivolta e di rancore nel vedersi privare, come per un torto inflitto inaccettabile, di qualcosa che si considera dovuto a sè, che non si accetta che si stacchi, che vada via e che viva casomai legandosi a altri. Crescere in autonomia è crescere in completezza umana, che richiede lavorare su di sè, costruire ciò che nessun altro può e è legittimo che debba offrire, un sostituto, un succedaneo, una risposta che non è ciò che spetta a sè coltivare e generare perchè abbia forma viva, vera, originale. Solo individui interi, che si sono assunti la responsabilità di fondare su di sè e di costruire la loro completezza umana, compito, desiderio e aspirazione non delegabili a niente e a nessuno, possono tra loro dare vita a rapporti che siano trasparenti, rispettosi e fecondi, dove il riconoscimento della dignità e della  libertà dei due non è un principio o un dovere astratto da osservare per legge esterna, un valore semplicemente assimilabile e inducibile con l'educazione o il cambiamento culturale, come oggi non pochi vogliono far credere, ma un convincimento interno maturo, frutto genuino di un approfondito lavoro su se stessi, un che di fortemente sentito, un credo e una passione sinceri e profondamente fondati.