domenica 25 maggio 2014

A proposito di cause remote e di traumi infantili

Dico subito che se ogni esperienza che ci appartiene, anche del nostro passato, è parte integrante della nostra storia, è momento del nostro cammino, perciò importante, va però saputa riconoscere e rispettare in ciò che nel suo accadere ha mosso dentro di noi, in come è stata vissuta, per coglierne il vero significato.  Quanto al fatto che disagi e malesseri attuali siano la automatica e semplice conseguenza di circostanze ed esperienze negative del passato, soprattutto in ambito familiare  o di veri e propri traumi infantili, più o meno rimossi, va riconosciuto che questa è ipotesi e spiegazione assai cara a un certo tipo di psicoanalisi e di pratica psicoterapeutica.  Soprattutto è ipotesi e spiegazione cara a chi vive la propria sofferenza interiore come carico indebito e ostacolo al vivere quieto o "normale“, a chi volentieri accetterebbe di scovare nella propria storia da qualche parte la causa del “male“. Un simile modo di pensare ignora che ciò che oggi si pone interiormente con vivacità o intransigenza come segnale di crisi va ascoltato in ciò che dice oggi, che casomai è riferito a modi d'essere e di procedere inveterati ma attuali, ad esempio a problemi di lontananza da sè, di mancata unità tra il proprio pensare e il proprio sentire, a mancata intima rispondenza di ciò che si porta avanti, più coerente con altro che con se stessi. Vivere in simbiosi con altro fuori di sé è infatti una modalità d'esistenza assai diffusa, che fa credere che tutto vada cercato fuori, che la realtà sia solo quella disegnata là fuori e pensata comunemente. Ne conseguono l'allineamento e la rincorsa del "normale", l'orrore di non stare al passo con altri, il rifiuto immediato di accogliere ogni richiamo o freno o intralcio che venga da dentro. C’è un modo di procedere assai diffuso che è sostanzialmente passivo e gregario, assai più di quanto non piaccia credere e ammettere, più regolato da sguardo comune e da autorità esterna che da proprie autonome scoperte, che costerebbero per essere raggiunte passaggi interni difficili, che richiederebbero saperli vivere, patire e capire. Capire se stessi, capire come si procede e con quali toppe e controtoppe, con quali insufficienze, per dirla con un eufemismo, di conoscenza di chi si è veramente e che si potrebbe scoprire ascoltando il proprio sentire, ansie comprese, senza omissioni e fughe, tutto questo è spesso compito ancora non svolto. Se stessi è territorio ancora inesplorato, incompreso, mai coltivato tenendo unito pensare e sentire. Parlo di un lavoro di conoscenza di se stessi, tutt’altro che inutile o inessenziale, che è ben altro dal far ragionamenti su di sé, che danno di se stessi solo una visione parziale e accomodata, spesso ipocrita, oltre che sterile. Insomma, partendo dalla sofferenza e dalla crisi interiore aperta e attuale, c’è più da costruire, da creare, da sviluppare di nuovo e di proprio, che da giustificare in ragione di traumi subiti e pregressi. Il malessere interiore, la sofferenza nelle sue diverse espressioni, mai casuali, sempre significative ed eloquenti, se sapute leggere ed ascoltare e non giudicare come malate e incasellate nei vari tipi e sottotipi, per farne oggetto di prescrizione farmacologica e non, è una potente leva o spina nel fianco per spingere a cercare cambiamenti e trasformazioni, che richiedono un serio lavoro su se stessi. La tesi del trauma come origine e causa della sofferenza e della crisi è spesso tesi di comodo, che non sa comprendere che c’è più da costruire il nuovo, che non c’è mai stato e che non c’è, che trovare una remota causa del male, che avrebbe impedito il "normale" sviluppo e lo "star bene", reclamati come ovvi e rivendicati come diritto, a prescindere da ciò che ancora non si è dato a se stessi e alla propria crescita vera. 

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