lunedì 2 giugno 2014

A te, che vuoi capirti

Vivere appieno un'esperienza interiore, un'emozione, uno stato d'animo, un vissuto è certamente la base e la premessa per intendere, per capire, rendendoti partecipe, lasciandoti segnare da ciò che senti, condividendolo con la tua interiorità. Il tuo sentire è la base del tuo capire, sentendo fai intima esperienza, tocchi con mano. Se oltre a concederti, a farti tutt'uno e a farti segnare dal tuo sentire, impari a prendere distanza per vedere cosa stai provando, cosa sta prendendo forma nel tuo sentire, cosa stai intimamente sperimentando ( tutto questo lo possiamo chiamare riflessione), ecco che crei una situazione del tutto nuova di rapporto con te, non di fuga, non di pregiudizio, non di scissione tra ciò che pensi e vuoi e ciò che senti, ma viceversa di unità dialogica con te stesso. Il tuo sentire, comprensivo di ciò che chiami ansia ( o d'altro che ti è interiormente disagevole)  è parte di te, è modo vivo della tua interiorità di calarti in qualcosa, per farti vedere, intendere, capire. Se hai un pregiudizio negativo sul tuo sentire, solo perchè è disagevole e in partenza te ne vuoi sbarazzare, considerandolo inutile, immotivato, dannoso, patologico, certamente chiudi a qualsiasi possibilità di dialogo, ti privi di un apporto vitale, che, se sapessi ascoltare e comprendere, potrebbe rivelarsi tutt'altro che inopportuno, inutile o deleterio. Aggiungo che definire, ad esempio,  ansia un'esperienza interiore è spesso un modo sbrigativo di liquidarla. Vivere viceversa quel singolo momento e cercare di vedere con attenzione cosa senti, dandogli il volto che ha compiutamente, con parole che lo descrivono fedelmente, significa valorizzare quell'esperienza, non fare di ogni erba un fascio, rendendola uguale ad altre, banalizzandola. Spesso si è prigionieri dell'idea che l'esperienza interiore disagevole vada prima di tutto combattuta, senza tanti indugi con farmaci o che vada evitata, sminuita, con atteggiamenti di fuga, sostituendola con altro, svagandosi. Tentativi destinati a fallire, l'interiorità, per convinto e insopprimibile senso di necessità, non accetterà di essere zittita o scansata, tornerà a smuovere, a "disturbare". Se il tuo sentire vuole dirti e calarti in qualcosa, testimoniarti, darti la percezione di qualcosa da intendere assolutamente, agirgli contro è come voler soffocare una consapevolezza intima, è come boicottare un modo di volerti portare con i piedi per terra, nella consapevolezza di qualcosa che non va oscurato. Lo star bene ad ogni costo, inteso come liberazione dal sentire attuale e vivo, rischia di tradursi nel non voler aprire gli occhi, nel bloccare tutto, nel voler solo una quiete fine a se stessa, che nel tempo non ti darebbe che impotenza e incapacità di governo della tua vita, uno svuoto di idee e di consapevolezza, una desertificazione dell'animo capace solo di farti inseguire gli altri, di farti concepire la vita unicamente come uniformità al solito e comune, come "normalità". C'è chi ammette che il sentire sofferto possa avere un significato e però lo intende come la meccanica conseguenza di una causa, pensa che sia il segno, la conseguenza di qualcosa, esterno a sè, che sta agendo o che ha agito sfavorevolmente contro se stesso. Si parla spesso e volentieri di stress, del possibile influsso negativo di cause attuali o, preferibilmente, remote. Anche qui non si cerca quell'incontro aperto, rispettoso e dialogico col sentire di cui dicevo all'inizio. Si cercano spiegazioni, si fanno lunghi giri per cercare da qualche parte nella propria storia  una plausibile causa e, una volta scovata, si confeziona il teorema che quello è il motivo dell'ansia, della sofferenza. Contento il terapeuta, contento il paziente, ma il sentire eccolo là presto, dopo momentaneo sollievo, intatto e inascoltato, ancora corpo estraneo con cui non si riesce a entrare in rapporto aperto, utile, fecondo, ancora incapaci di capirsi dentro e attraverso il proprio sentire, purtroppo ancora allontanato, dissociato da sè. Si dice allora che si è imparato a capire il perchè dell'ansia, a gestirla meglio, ma la fragilità del rapporto con se stessi e la paura di sè rimangono, l'estraneità rimane, l'incomunicabilità con se stessi, col proprio sentire, tale e quale a prima. Il sentire, cui si è cercato di dare una causa, senza ascoltarlo, voleva e continua a premere e a chiedere ascolto per proporre, per far capire di se stessi cose essenziali, per far fare passi avanti utili e necessari. Dunque, se vuoi davvero capirti,  è fondamentale che impari ad aprirti al tuo sentire, ad ascoltarlo per davvero, a lasciarlo dire, a raccoglierne l'intima proposta, cosa ben diversa dal mettergli sopra spiegazioni, trattandolo come oggetto temibile da disarmare o da tenere a bada. Potresti imparare a costruire unità piena e dialogica con te stesso. Potresti essere aiutato in questo.

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