domenica 12 ottobre 2014

Quando il malessere persiste

Quando al malessere interiore non si dà risposta matura, quando non si dà ascolto e fedele comprensione a ciò che il proprio sentire, che la propria esperienza intima propone e cerca di rendere tangibile e prioritario, quando non si dà assecondamento alla richiesta interiore, che proviene da parte profonda di se stessi, il malessere insiste e persiste. Se la proposta non è recepita, se non trova udienza e se non è fedelmente tradotta e intesa, se anzi è travisata, se si corre a metter pezze per non cambiare nulla, se, ritenendo che nel sentire disagevole ci sia il segno di una insufficienza o di un'incapacità di sentire nel modo giudicato valido e normale, ci si adopera per zittirlo, per eliminarlo come spazzatura o per correggerlo, cosa ci si può aspettare in simili condizioni  se non che il profondo mandi a dire che non si lascia mettere a tacere e manipolare, che la verità la vuole comunque rilanciare, che la spina nel fianco non la vuole togliere, perchè il cambiamento, di consapevolezza e di trasformazione in direzione di se stessi, è di vitale importanza che avvenga? L'inconscio fa persistere il malessere, insiste nel dare segnali d'urgenza e di messaggio non ricevuto. In questi casi facilmente si parlerà, con un'acutezza meritevole d'encomio, di ricadute, di patologia che volge alla cronicizzazione e di altre scempiaggini simili, travestite da sapere scientifico. Capita anche che ci sia chi, provando a fare un lavoro più serio su se stesso, casomai attraverso una psicoterapia, cerca, in verità più allo scopo di debellare il malessere che di ascoltarlo e di aprire a se stesso, qualche spiegazione, in apparenza verosimile e coerente, del perchè del malessere, indagando nella propria vita, particolarmente nel passato, alla ricerca di qualche causa, evento traumatico, condizionamento sfavorevole. Capita che questi a un certo punto dica di aver fatto, attraverso un simile lavoro, passi avanti, di aver capito, di conoscere finalmente le cause dell'ansia e di ciò che interiormente gli era penoso, fatto salvo però che, malgrado questo, continui a sentire incombente o presente quel disagio, che continui non solo a non entrare in sintonia col proprio intimo, col proprio sentire, ma a temerlo. L'affermazione più frequente in simili casi è che ora però si conosce il perchè e che comunque si è imparato a gestire meglio il proprio malessere, a tenerlo a bada. Insomma si è daccapo, il rapporto con parte vitale di sè, col proprio sentire non è mutato, ancora è segnato da lontananza, da fuga e da incomprensione sostanziale. Se si parla di gestione, che altro non è che controllo e contrapposizione, con l'utilizzo di accorgimenti, di commenti, di spiegazioni o di schemi interpretativi calati dall'alto e messi sopra al proprio sentire, significa che si insiste nella presa di distanza, che si permane nell'incapacità di incontro e di ascolto della propria interiorità, di unità con se stessi, di comprensione di parte di sè che dice, che vuol guidare e nutrire la consapevolezza, passo dopo passo, momento dopo momento. Finchè non c'è incontro vero e rispettoso con la propria interiorità, non trattata come meccanismo da spiegare, da regolare e da correggere dall'alto, ma come voce e proposta viva da ascoltare e da comprendere fedelmente, i segnali di urgenza, di malessere insistito permangono e permarranno. Ne va della propria sorte. La nostra vita è occasione unica per aprire gli occhi, non per chiuderli,  per dare "vita" a ciò che ci appartiene profondamente, non per metterci tranquilli in qualche modo, per accodarci al normale. L'inconscio è voce e anima di questo, non è un agitarsi confuso di capricciose istanze, di desideri ingenui e velleitari, non è un deposito di tracce oscure di ricordi molesti. Se non si impara a capire il proprio intimo e profondo, a rispettarlo, a condividerne la proposta, il malessere persisterà, unica voce matura, responsabile e sincera.