domenica 16 luglio 2017

Felicità rubata? Incapacità di essere felici?

Accade non di rado che si lamenti una sorta di incapacità di gioire di ciò che, già presente nella propria vita o a portata di mano, si ritiene essere giusto e valido motivo di soddisfazione. Inquietudine interiore, malessere e apprensione, sembrano malamente insidiare o derubare se stessi del diritto, come tale è vissuto, di godere della vita e di ciò che parrebbe desiderabile e soddisfacente. E' una sfortuna e una maledizione che ci sia una parte del nostro essere che, non dando credito a ciò che ostinatamente vorremmo farci credere, che guardando con disincanto e con acume critico ciò che ci siamo proposti come ideale, casomai tutto dentro guide di senso e schemi di valore comuni, segnala che non c'è lì, nel raggiungimento e nella difesa di simili traguardi, vero motivo di gioire e di cantare vittoria? Dobbiamo per intero a noi stessi questa stonatura, questa divergenza di sguardo e di opinioni. Lo dobbiamo al fatto che non siamo (per nostra fortuna) solo calcolo e ragione, mezzi spesso utilizzati solo per stare in riga e per ripetere luoghi comuni, per andare al traino di modi condivisi di pensare, azzerando ogni impegno di vedere e di capire con la nostra testa. Una parte di noi stessi, che ci parla e che si fa valere in noi attraverso stati d’animo, vissuti interiori e emozioni, ha capacità di vedere con maggior autonomia e capacità critica ciò che la nostra parte cosciente da sola non è disposta e capace di mettere in questione oltre che di intendere. C'è una tendenza allo sfascio, c'è una patologica tendenza del profondo a guastare la festa? O invece, con saggezza oltre che con puntiglio, il profondo vuole che il vero si affermi, casomai per non perdere la propria vita in realizzazioni dettate solo da conformismo e da passivo assorbimento di idee e valori? Per non finire nel buco di mete e di scopi già segnati, per non seppellire la possibilità di comprendere e di concepire da sé, autonomamente, i propri perchè e scopi, di sviluppare la presa di coscienza, la conoscenza che serve per nutrire e orientare progetti propri, per non smettere mai per tutto il corso della vita di cercare e di costruire a modo proprio, è fondamentale e provvidenziale l'azione di "disturbo" e di rottura del profondo. L'inconscio non suona la stessa musica della parte conscia e razionale, che tanto si crede intelligente e superiore alla parte interiore e “irrazionale”, quanto in realtà è spesso ottusa e inaffidabile, pericolosamente inaffidabile nell'istigare a ficcarsi nell'imbuto delle idee e dei propositi convenzionali e a soffocare come malata la voce del profondo, del sentire che dissente e che suggerisce cose vere, anche se scomode.

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